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God Save the V&A

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[ARTI VISIVE]

ingressoLONDRA- Se dopo la visita ai magazzini Harrods il delirio kitsch e la febbre da consumismo svergognato non vi hanno completamente fiaccato ogni altra volontà, percorrete la Cromwell Road verso South Kensington. Incontrerete alla vostra destra un elegante palazzo in stile Vittoriano: il Victoria and Albert Museum, o meglio V&A secondo la tendenza anglosassone di abbreviare qualsiasi nome proprio con le sole iniziali.

Una porta girevole vi introdurrà nel più grande museo del mondo dedicato alle arti minori e al pietre_preziosedesign, istituzione pubblica che dal 2001 è completamente gratuita salvo voler contribuire con un’irrisoria donazione di una sterlina.
Raccolto in una vastissima collezione troverete tutto ciò che riguarda le cosiddette arti minori, decorative e applicate che, sebbene ai più posh dei falsi amanti dell’arte possano far storcere il naso, altro non sono che la diretta conseguenza dell’Arte in senso stretto. Il museo è un monumento a questa diretta filiazione e dimostra come l’espressione artistica più pura entri nella vita dei comuni mortali determinando il gusto estetico nella vita quotidiana. Le Muse si mettano l’anima in pace.
La particolarità di questo posto si legge anche nella suddivisione delle collezioni: accanto alla semplice provenienza geografica e temporale  (ci sono oggetti provenienti da ogni parte del pianeta con cui l’ex-impero britannico ha intrattenuto rapporti politico-commerciali), esiste la ripartizione per materiali e tecniche: moda, ceramica, vetro, ferro, gioielleria, fotografia, tessile, tappezzeria, teatro e arti performative. Sono proprio queste che abbiamo voluto visitare, incuriositi da un qualcosa che nel nostro stivale un po’ stretto e demodé non sono, diciamo così, propriamente diffuse.

gabbia_crinolineNella sala della moda sono esposti abiti da uomo e da donna dal 1750 a quelli contemporanei dell’haute couture. La biancheria intima femminile è certamente la più particolare: busti costrittori, corsetti mozzafiato – nel senso che comprimevano la gabbia toracica fin allo svenimento delle dame- e gabbie di crinoline. Tutto e di più per modellare il corpo secondo i dettami dell’estetica del tempo. Una moda pericolosa per la salute, minata dall’azione deformante che esercitava sui corpi, e pericolosa visto che spesso le voluminose gonne finivano nei caminetti accesi. Se le lettrici pensano di essere salve, pensino che ora le deformazioni sono esterne all’abito: diete, chirurgia e quant’altro possa aiutare a somigliare a qualcosa che non esiste.

I pannelli esplicativi aiutano a  capire che accanto al mero senso estetico entra in gioco l’azione di questo sulla vita, riferendosi con la semplice esposizione di un capo d’abbigliamento alla storia del costume di diverse epoche, al ruolo della donna, alle convenzioni sociali. Per gli uomini non possiamo fare altro che constatare come dai ricamatissimi vestiti di broccato, si sia nel tempo passati all’anonimo abito grigio del businessman: il lavoro prima di tutto. Anche qui appare l’evoluzione della società del capitale e Marx entra pure lui all’interno del discorso espositivo.

Proseguendo si incontra la sala della fotografia, che scopriamo essere stata innalzata a espressionefoto artistica proprio in questo museo. Nel 1851, infatti, in concomitanza con la prima Esposizione Universale tenuta a Londra, è stata allestita qui la prima mostra fotografica del mondo. Impressionante vedere la riproduzione di quelle prime immagini esposte che riguardavano proprio l’allestimento della mostra e qualche ritratto. La scoperta di un nuovo sguardo sul mondo che non solo lo riproduceva, ma lo arricchiva.

Per quanto riguarda vetro, ferro, ceramica e tessile, l’esposizione esalta la loro lavorazione, ovvero l’azione dell’uomo sulla materia. Per la tappezzeria vengono riportati anche i disegni preparatori dei motivi decorativi di tessuto e carta da parati del designer Owen Jones, attivo nel secolo XIX, ispirato chiaramente dai maestri tappezzieri dell’Asia minore. Basta entrare nella sala apposita per rendersene conto.
Insomma il Victoria and Albert è un luogo strambo agli occhi di chi proviene da un’impostazione più classica, dove si possono trovare esposti capolavori di pittura e scultura accanto a caminetti e panchine di ferro battuto o mutandoni ottocenteschi. Nonostante sia in territorio monarchico, è un inno alla democratizzazione dell’arte, il luogo di uno sguardo antropologico sul rapporto tra l’uomo e il bello.

Francesca Paolini

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