Aggregates: l’immagine testimone di un fallimento
[ARTI VISIVE]
ROMA- In questo nuovo numero di MArteMagazine ho il piacere di presentarvi la mostra dedicata a Francesco Patriarca, un artista romano la cui passione per la fotografia si esplica attraverso il rapporto tra l’uomo ed il paesaggio su cui si inserisce.
La mostra, presentata presso la storica struttura del Pastificio Cerere di San Lorenzo, una volta utilizzata per lo stoccaggio del grano e che oggi rappresenta una dei migliori esempi di riconversione industriale dove l’arte è la padrona di casa, ha come obiettivo quello di rappresentare il processo di espansione urbana costituito dall’utilizzo spropositato e selvaggio del territorio ad opera dell’uomo, il quale cerca con violenza di appropriarsi degli spazi per trasformarli in riflesso delle proprie attitudini.
Le opere fotografiche di Francesco Patriarca, esposte fino al 15 Luglio 2009, rivelano attraverso degli Aggregates la precarietà degli interventi effettuati dall’uomo moderno soprattutto in alcuni territori politicamente più influenzabili come l’Africa che in alcuni scatti viene ricordata in cui la rapida crescita industriale ha distrutto il primitivo rapporto tra l’ambiente e l’essere umano.
Gli aggregates non sono altro che delle metafore montate al fine di esplicare la precarietà del rapporto tra l’uomo e la natura, che la tecnica fotografica è in grado di rilevare attraverso l’accostamento di semplici elementi naturali a materiali da costruzione arbitrariamente esposti sul suolo, come in Ethipia Tryptich/Construction Site, in modo tale da catturare la labilità delle tracce umane le quali debilitano la possibilità della terra di alimentare il substrato naturale.
La luce e i colori che si incastrano nell’obiettivo fotografico, inizialmente quelli della terra che tendono pian piano a stringersi intorno al grigio scuro e nero, hanno la capacità di riversare sulla superficie liscia della foto appesa quella curvatura, quelle incrostazioni naturali del paesaggio descritto che appaiono minacciate dalla presenza di elementi usati per la costruzione urbana che tendono ad alterare la particolare naturalezza del suolo.
Una linea nera posta sulla superficie bianca dei locali che ospitano la mostra assume l’entità di una chiave di lettura immaginaria la quale punta a focalizzare l’attenzione dello spettatore verso quegli elementi fin troppo reali che con forza si sono inseriti in ogni singola immagine fotografica.
La rapidità del messaggio che l’immagine fotografica invia allo spettatore è la denuncia della rapidità con cui l’uomo distrugge la possibilità di un rapporto pacifico con la natura che prescinde da ogni collocazione spaziale.
La sensibilità artistica delle fotografie che interagiscono in questa mostra denotano il desiderio di testimoniare la caducità dell’essenziale di fronte alla spregiudicatezza dell’uomo moderno ancorato al mito dell’urbanizzazione che corrode il futuro.
Eva Di Tullio
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