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Mattia Fiore e le “vibrazioni dell’anima”

shiba
[GRAFFI(A)TI AD ARTE]

shibaGiornata assolata e afosa, il caldo a Napoli sa essere vermene cocente, tanto che nel Borgo Marinaro i ragazzini si tuffano per trovare un po’ di refrigerio. Ma io sono qui per scoprire le meraviglie del Castello. La leggenda vuole che Castel Marino custodisca un uovo magico, da cui appunto Castel dell’Ovo e che sia questo a proteggere sia il castello che l’intera città.

Come una piccola Indiana Jones mi aggiro tra le stanze alla ricerca oltre che del tesoro anche di un po’ d’ombra.
Si avvicina a me un distinto signore, che, nel salutarmi gentilmente, mi accompagna in stanze con le pareti di un bianco assolato su cui spiccano colori immediati e vivaci.
Giacca e cravatta, d’aspetto distinto, come un novello Virgilio, del resto il castello è legato alla figura del poeta latino, il nostro accompagnatore si presenta come Mattia Fiore, l’autore delle opere colorate che illuminano le pareti delle sale. Il titolo della mostra è Vibrazioni dell’anima ed è stata ospitata nel castello fino al 15 giugno 2009.

I colori sulle tele sono così tanti che ne perdiamo la traccia, ma il dripping non è privo di un Mattia_Fiore1significato. “Ho dipinto per anni opere figurative, e dopo ho deciso di lasciar libere le emozioni. Dopo aver dipinto riconosco delle figure, le ritrovo, come in un percorso inconscio. Così mi sento libero.” Ci spiega pacatamente il “nostro vate”. Forse è questa la libertà artistica: il poter scegliere di fare solo del colore la propria vita.

L’espressione di Mattia Fiore è gentile, le braccia composte, sembra quasi che abbia bisogno delle tele per esprimere un sentimento interiore irrequieto e furioso. L’umanità e la ricerca sono caratteristiche che prendono chi osserva i suoi lavori, come anche la sua persona. Tutte le opere sono senza titolo, nessuna indicazione viene data dall’artista. Forse anche per questo motivo è così generoso da spiegare ai visitatori della mostra ogni piccolo dettaglio.

Il lavoro che indubbiamente mi ha più colpito è su una tela di juta.
“Ho scopeto lo stesso fornitore di juta di Burri e ho voluto usare questo materiale perché è espressione di sofferenza. Questi sacchi hanno contenuto per dieci anni tabacco“. Il tabacco è legato alla fatica fisica, alla sofferenza, e quest’opera anche se è stata dipinta in modo sgargiante è appesa solo da un lembo, come se la vita fosse legata in modo sottile ad una sofferenza concreta, come se i colori fossero l’unico modo per salvarsi dal una quotidianità grigia. L’opera, che vi descrivo, fa parte di una serie di lavori,di cui alcuni sono esposti nella Chiesa S. Maria della Sanità, una chiesa paleocristiana del IV secolo a.C. che si trova nel famoso Rione Sanità. Quartiere famoso per vicende tremende, ma anche grazie a due dei rappresentanti della storia culturale di Napoli: Edoardo De Filippo che ne fece una celebre commedia, Il sindaco del Rione Sanità e Totò. Il principe Antonio de Curtis da bambino viveva lì vicino e in quella chiesa faceva il chierichetto.
La leggenda (tutto a Napoli diventa leggenda) vuole che proprio quella chiesta che sorge su delle catacombe abbia ispirato la famosa poesia La Livella. In quella chiesa, Mattia Fiore ci racconta con un certa soddisfazione che vi sono conservate due delle sue opere. “A Don Antonio Loffredo (il parroco di S. Maria della Sanità, ndr) donai con onore due dei dodici lavori che realizzai sulla juta, sono delle scritture d’artista in forma pittorica” .
Ognuno si esprime in modo differente c’è chi segue la musica e chi insegue il colore, Mattia Fiore segue la sua anima. Nel farla vibrare raccoglie i segni che lascia e li posa su una tela. Forse non abbiamo trovato l’uovo magico, o forse sì. L’arte è la salvezza dello spirito e anche della civiltà…

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