Jazzando 2009
II serata: spazio alla sperimentazione (P. D’Angelo)
Musica colta, da spartito, con numerosi momenti dedicati all’improvvisazione. Nei libri di storia della musica si legge che il jazz deriva dal bebop, un genere che spopolò durante gli anni ’40 nei locali americani. E’ la musica dei primi Miles Davis, Dizzy Gillespie e Thelonious Monk per interderci. Jazzando ci ha mostrato ben poco di tutto ciò. Certo, le linee di base sono state quelle jazzistiche, ma gli artisti presenti alla rassegna avevano un fortissimo aspetto in comune: la sperimentazione. Negli anni ’40 probabilmente quel genere era molto sperimentale esisteva una continua ricerca della linea melodica giusta e dell’innovazione, ma oggi se ascoltiamo un album come Kind of Blue di Miles Davis abbiamo la sensazione che ormai faccia parte della tradizione e che, nonostante contenga alcuni tra i brani più belli mai scritti, l’accostamento musicale rientra nella classicità.
Jazzando ha aperto le porte a progetti o formazioni che di tradizionale o classico hanno poco o nulla.
Giovedì 11 giugno hanno aperto la serata gli Sbatash, quartetto di giovani musicisti che riescono a concertare le proprie forze e le proprie derive artistiche in un live non propriamente jazz, ma influenzato moltissimo da quest’ultimo. Ne escono composizioni che traggono suoni rielaborati in maniera personale, originale, creando un suono corposo e pieno, ma leggero.
A seguire i Feet of Mud, un progetto collettivo in cui il sax tenore di Francesco Bearzatti svolge la funzione di strumento solista. Musica avanguardista dove la tastiera regala un tocco di elettronica a un’esibizione già di per sè eccentrica.
Un inizio a dir poco psichedelico, ma già Bearzatti ci aveva abituato a questo genere di composizioni. Con i Tinissima Quartet propone, in giro per il mondo, dei suoni innovativi spesso non graditi dagli amanti del jazz tradizionale, ma che possiedono una grandissima dignità se eseguiti da colui che, quando suona tributi a John Coltraine, è da brivido.
Per i Feet of Mud l’esperimento è ben riuscito, le composizioni di Federico Squassabia (keibord-devices del gruppo) inizialmente risultano un po’ troppo azzardate, ma, proseguendo nell’ascolto, le melodie si addolciscono e le improvvisazioni si intensificano. Sono i momenti in cui il quartetto dà ampio sfogo alle alte capacità che possiede la sezione ritmica, per Francesco Cusa tutto può fare percussione: l’asta del microfono, il leggio, il tutto condito con campionamenti e distorsioni del sax che non guastano mai. Insomma i Feet of Mud riescono a portare avanti quella bandiera avanguardistica che non molti gruppi riescono a far propria: davvero ottimi!
La serata di giovedì si conclude con l’esibizione di: Greg Cohen and the Houdini’s Cage.
Le prime note sono prodotte da un Podophono, una piccola diamonica elettrica suonata con i piedi, e da una chitarra elettrica. Entrambi gli strumenti sono gestiti con maestria da Enrico Terragnoli, il compositore della band, un polistrumentista dallo stile semplice ed efficace.
Un progetto che, come dice il nome, si ispira alle illusioni di Harry Houdini con l’esemplare Greg Cohen al contrabbasso, un musicista di rara peripezia, competenza oltre che adattamento sonoro. Tra i tanti ha collaborato con: Rolling Stones, Lou Reed, Laurie Anderson e Tom Waits.
Dalla calma di un assolo di chitarra giungono scrollate di piatti e rullanti e, se per Francesco Cusa tutto era percuotibile, per Zeno De Rossi questo non basta e utilizza strumenti insoliti per dare man forte ai suoi assoli, come ad esempio una macchinina a carica manuale e delle catene. Belli i crescendo armonici e il suono pulito del sax tenore di Francesco Bigoni.
(Paola D’Angelo- per la parte relativa agli Sbatash Iacopo Castellani)