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Alessandro Ristori: Faenza- Memphis A/R

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In una afossissima e calda giornata di maggio, nella quotidiana lotta tra i mezzi e il traffico della Capitale, ci si può ritrovare all’improvviso in una verde strada della periferia, in una casa discografica che sembra il “regno dei balocchi musicali”, con davanti un personaggio che ricorda un po’ il passato, pronti a confermare o smentire qualsiasi idea superficiale che la nostra mente poteva aver elaborato dal solo ascolto di una album o dalla sola vista di alcune foto. Si parte. Ecco a voi, Alessandro Ristori…

ALESSANDRO_RISTORI.jpg.bigLa prima domanda che vorrei farti riguarda il tuo percorso musicale e le tue influenze. Da cosa nasce il tuo amore per gli anni del Rock’n’Roll?
La passione ovviamente è nata quando ero bambino, da quando sentivo i dischi “del mio babbo” (di mio padre), grande appassionato di Rock’n’Roll. Iniziai ad ascoltare Bill Halley, Little Richard, Elvis Presley, Celentano e la loro musica mi è rimasta nel cuore. Quando sei bambino cerchi di farti un mondo di fantasia per quello che ti hanno raccontato, crescendo cerchi di filtrarlo per farlo diventare come vorresti.
Ho iniziato facendo commedie sia dialettali che in italiano, più o meno serie, ma a sedici anni lasciai il teatro e mi misi a cantare e a suonare la chitarra, strumento che mi accompagna da sempre (anche se non mi considero un chitarrista), un po’ per gioco, e alla fine misi su la prima band e poi piano piano…La prima canzone l’ho scritta a 13 anni.

Faenza/Menphis andata/ritorno è il titolo del tuo album, perché questo titolo?
Innanzitutto, ti piace? Riassume un po’ quello che sono io, Faenza è la mia città, Memphis è la città di Elvis, la città in cui sono nate tante correnti musicali differenti, il Jazz, il Country, il Blues, il Rock’n’Roll.  Andata perché a me piace ascoltare, prendere spunto, però ritorno perché siamo italiani e fieri di esserlo. Prendere spunto da  Elvis va bene, ma scimmiottarlo sarebbe ridicolo. Quando si fa Rock’n’Roll o sei quello basso, grasso e fai lo “scemo” o sei un rockabilly incazzato. Si creano dei mercati di nicchia, uno kitch e l’altro un po’ rock, ma comunque di nicchia. Questo è un prodotto per tutti: sono canzoni scritte da un uomo medio, da un italiano medio per gente normale.

Parlaci un po’ dell’album…
Ci sono tre cover: una è nella traccia nascosta, “Rock around The Clock”, di Bill Haley, per far capire che amiamo il rock, poi  “Impazzivo per te” di Celentano, completamente stravolta dal punto di vista dell’arrangiamento, per ricordare che il padre del rock italiano è sicuramente Adriano Celentano (da non dimenticare Gaber, Jannacci..), dal quale attingiamo moltissimo senza vergogna.
Le altre dodici sono canzoni nuove, fatte e scritte da me, alcune in collaborazione con i miei musicisti, alcune con il mio partner artistico Lorenzo Staffa, mio amico e collega. Ci sono alcune firme al di fuori del nostro organico, Mario Pappagallo per i testi e di Roberso Satti, al secolo Bobby Solo, per alcuni rock and roll e per altri una ballata con sapore abbastanza soul. Molti non lo sanno, ma Bobby Solo è un grandissimo conoscitore di musica, specialmente americana ed è in grado di consigliare alcuni groove da grande intenditore quale è.
Quella che amo di più della nostra collaborazione “Sexi Tu”, c’è la crudezza del rock nell’arrangiamento, chitarra acustica, rullante, basso acustico e nei coretti stile anni ’50, e per l’argomento, tipico di quegli anni. Negli anni ’50 il Rock’n’Roll era diventato una modalità musicale anti-censura, per sviare alla censura, si usavano “giri di parole” per dire facciamo sesso. “Sexi Tu”, parla di un uomo che è appena stato con una donna e, anche se è passata solo un’ora, fa capire quanto la desideri ancora, e che un’ora sembra infinita quando si brama qualcuno in quel modo. E’ un brano che sembra sempliciotto, crudo, semplice, ma per me ha molto senso e ci sono molto legato perché incarna veramente lo spirito del genere.
Il resto del disco è più articolato, gli arrangiamenti sembrano semplici, ma molto curati. Ci sono tanti fiati, negli anni ’60 si usavano molto, e noi abbiamo cercato di usarli in maniera abbastanza moderna (l’arrangiamento dei fiati gli piace molto n.d.r.).
Il singolo che stiamo portando avanti adesso, “Un Giorno tutto per Me”, dà un po’ il senso al disco per la sua spensieratezza. Un giorno tutto per noi, con il sole sulla faccia, contro quel buio che è sempre dietro l’angolo e non ci fa stare bene.

E’ un po’ il manifesto del tuo disco, i tuoi testi sono molto ironici e spensierati…Ristori
Diciamo che nel disco non viene mai contemplata la tristezza, la malinconia sì, ma quella che ti fa stare bene, che ti fa ricordare i momenti in cui eri felice, non quella che ti fa arrabbiare per qualcosa che non va adesso. Sicuramente il tema principale è la spensieratezza, o il conflitto classico tra ragazzo e ragazza, sono argomenti di tutti i giorni affrontati con una certa leggerezza, perché il segreto è non prendersi troppo sul serio mai, anche perché i grandi non si sono mai presi troppo sul serio. Dal momento in cui ti prendi troppo sul serio allora vuol dire che c’è qualcosa che non va.

Ma dietro a tutta questa spensieratezza nascondi un lato più cupo, triste?
Come diceva Nilsen, il pagliaccio è sempre quello che davanti alla gente ride, e poi quando è solo, in casa piange. Ognuno di noi ha sicuramente dei momenti di tristezza, di riflessione, quando ci si trova a decidere del proprio lavoro, della propria vita, nella musica quando si tratta di scegliere un brano piuttosto che un altro. Ci sono sempre dei momenti difficili, la forza sta nell’avere la costanza, la caparbietà di inseguire un sogno e pensare che è giusto che anche questi momenti ci siano. Non bisogna perdere la speranza perché la musica è meravigliosa.

Lo hai accennato all’inizio, parlando della musica che ti ha influenzato, ed è abbastanza evidente anche ascoltando il tuo lavoro, che il periodo che ami di più sono gli anni ’50, tanto che sembra tu rincarni gli artisti che furono i precursori del Rock’n’Roll. Cosa ti affascina di quegli anni e dei suoi protagonisti?
Credo che il nostro progetto sia molto ambizioso perché prendiamo la musica di quel periodo e cerchiamo di essere, nella nostra palesa ispirazione, originali, ci sono elementi molto moderni, che non si sentono nei dischi italiani, o da molto tempo o da mai.
La musica che facciamo è un riferimento a quello che sono io, non è che il prossimo lavoro sarà funky. E’ un progetto dedicato ad un personaggio.
Mi piace il sound, la melodia, il modo di comporre che in passato forse era più istintivo, più spontaneo, anche un po’ più allegro.
Mi identifico nella loro forza di volontà durante la gavetta. Il musicista di altri tempi, nasceva nella cantina, infatti noi siamo nati come band in una cantina, siamo passati al pub, siamo arrivati alla piazzza alla grande platea, e oggi sono qui a parlare con te.

Prima era tutto molto più graduale, non come oggi dove basta un programma televisivo, e nel giro di pochi mesi sei una Pop Star, come, ad esempio, X-Factor.
Diciamo che in alcuni casi la gavetta è saltata, anche se sono usciti anche personaggi abbastanza maturi. Diciamo che io non l’avrei fatto. Ogni settimana devi fare una cosa diversa, devi essere molto malleabile. Io sono abbastanza inquadrato ormai, non sono vecchio ma non sono più un bambino.
E’ un programmi positivo perchè si è parlato di musica, però a dei lati negativi. Ogni settimana questi artisti che implorano di non uscire. E’ come se si fosse persa un po’ l’idea dell’artista forte. Prima c’era una scora diversa, sarà perchè facevano un percorso di vita sperando di arrivare da qualche parte.

Oggi forse le personalità più forti si trovano nell’ambiente del Rock Alternativo (Afterhours, Marlene Kuntz..), tutti gruppi che hanno fatto la “gavetta”…
Si però sono un po’ tristi, poi ti convinci che il mondo è solo così…

Ami quel periodo perché rifiuti il presente e speri che il modo di pensare torni ad essere come in passato?
E’un po’ l’uno e un pò l’altro. Vorrei che si ritornasse a pensare in maniera positiva, perché la nostra generazione, non ha voglia di credere nel sogno, nel sogno quotidiano, non quello di diventare una star, un cantante, o Presidente della Repubblica. Se tutti credessimo nel nostro sogno, ci sarebbe un mondo migliore anche nella musica, perché la musica rispecchia quello che è la società del momento. È molto chiedere alla musica che sia positiva per far diventare contenti gli altri, anche se nei periodi passati è successo, nei periodi di guerra bisognava far cantare la gente per distrarla dal mondo.

Per quanto riguarda i tuoi progetti futuri cosa ci puoi dire?
Progetti per il futuro… Spero che il disco venga divulgato non solo in Italia.
Siccome abbiamo iniziato quest’avventura nel sud est europeo con una grande manifestazione della canzone la New wave Stars 2008, e mi sono classificato terzo, tornerò a luglio in Russia come ospite per ripresentare il disco. In seguito uscirà un dvd che si intitolerà Rock’n’Roll is Back, conterrà un concerto dal vivo registrato a febbraio e un duetto con una cantante canadese, Jacynthe (presente anche sul disco), conosciuta un anno fa durante quest’ esperienza all’est. Nel suo paese è abbastanza famosa, non è sicuramente un’esordiente, il fatto che somigliasse, nella mia mente, a Nancy Sinatra mi ha fatto pensare a quando Elvis e Nancy Sinatra si esibirono insieme e abbiamo deciso di lavorare insieme. Abbiamo anche registrato, dal vivo e in studio, ma non è ancora uscita,  “Things” che fu il duetto di Dean Martin con una giovanissima Nancy Sinatra. Dean martin è un altro personaggio che amo alla follia, anche lui, come me, era americano-italiano, questo mix di italianità e sogno americano lui lo rappresentava anche fisicamente.  Noi (dice noi perché ha una band che è nata con lui musicalmente n.d.r) non potremmo vivere senza live, abbiamo finito da poco la tournèe, ma quest’estate saremo in giro.

Ogni artista ha un messaggio da trasmettere attraverso la sua arte, se potessi riassumerlo qual è il tuo?
È un pò il messaggio che adotto nel mio quotidiano, credo che sia obbligatorio oggi credere in qualcosa, nei sogni. Io fin da quando ero piccolo avevo questo sogno, e me lo sono sempre portato avanti. Credere nella propria favola, ognuno dovrebbe credere nella propria favola. Se volessi diventare un bravissimo barista, dovrei credere nella favola che sarò un bravissimo barista, in modo che uno alla fine della giornata quando chiude la porta di casa va a letto contentissimo…

Finisce così l’intervista, finisce così una lunga e piacevole chiacchierata in grado di lasciare in bocca l’amarezza per la cattiva, a volta, comprensione di una realtà musicale e stilistica così apparentemente fuori dal tempo e costruita artificiosamente, ma che in realtà racchiude in se un’originalità e un’idea di positività fuori dal comune. Riusciranno gli scettici e Alessandro Ristori ad incontrarsi e a raggiungere un compromesso?

Alessandro Ristori, Faenza- Menphis A/R, martelive, martemagazine, musica, Paola Zuccalà

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