La solitudine dell’animale notturno
[TEATRO]
MILANO- Juan Mayorga è considerato il drammaturgo spagnolo più rappresentativo della sua generazione ed è un autore noto per scrivere “sentendo l’interlocutore”, in quanto a suo avviso “il teatro accadde nel pubblico”. Così i suoi testi sono soliti interrogare lo spettatore, affinché interpreti in chiave personale il comportamento dei protagonisti.
Il lettore/spettatore, insomma, è costantemente sollecitato a trovare un senso alla scena. I suoi testi sono rappresentati in moltissimi Paesi, mentre in Italia viene scoperto solo nel 2007 con la messa in scena di Hamelin, un testo sulla pedofilia o per meglio dire sulle contraddizioni e sulle trappole che contraddistinguono le indagini giudiziarie per molestie ai bambini. Dopo questo primo successo italiano, un altro suo testo debutta in prima nazionale al Teatro Filodrammatici di Milano: si tratta di Animali Notturni, piecè che in un’ora e mezza affronta e fonde due temi molto attuali ossia quello dell’immigrazione e quello della solitudine.
La storia racconta di un uomo, indicato come Uomo basso (interpretato da un convincente Emanuele Arrigazzi), che lavora come portiere in un condominio popolare e che un giorno sente parlare della nuova Legge sull’Immigrazione: tale legge prevede l’espulsione dal Paese di tutti quelli che sono identificati come clandestini. Decide così di servirsene per ricattare un condomino, indicato come Uomo alto (Tommaso Amodio), intellettuale senza permesso di soggiorno che vive con sua moglie, Donna Alta (Lorenza Pisano) nell’appartamento sottostante. Nonostante l’Uomo alto cerchi all’inizio di negare l’evidenza alla fine non può far altro che cedere alle richieste dell’Uomo basso. I due decidono inoltre tacitamente di non far parola del loro patto con le rispettive consorti. Nonostante la meschinità del suo comportamento, il portiere però tranquillizza fin dall’inizio la vittima del suo ricatto: lui non ha nessuna intenzione di chieder cose “strane” all’Uomo alto, anzi. In realtà il carnefice sta cercando solo un amico che dia senso alla sua vita mediocre, fatta di un lavoro non appagante e di una vita familiare deprimente, anche a causa della moglie, l’insonne Donna bassa (Stefania Pepe) che passa tutte le sue giornate seguendo insulsi programmi televisivi. L’immigrato, che lavora di notte in una casa di riposo per sbarcare il lunario, è chiamato dunque ad alleviare la solitudine dell’Uomo basso e far nascere in lui una sorta di autostima che nasce dal suo potere di comando su una persona che gli è superiore in tutto, a partire dalla statura. Nel racconto si inseriscono anche le rispettive mogli. In particolare la Donna alta, una volta saputa la verità dal marito, cerca in tutti i modi di convincerlo a scappare e a cercare insieme una nuova casa, ma senza successo. La Donna bassa invece è una casalinga annoiata e depressa, che solo verso la fine della pièce intuirà la verità e la accetterà, diventando una nuova pedina nel gioco dell’ Uomo basso.
Come si può notare la storia ha molti elementi di originalità: innanzitutto la figura dell’immigrato portata in scena è diversa da quella a cui siamo abituati. L’ intellettuale che svetta per cultura sull’autoctono è visto come una ricchezza, un’opportunità da cogliere non per fargli svolgere mansioni che gli autoctoni non vogliono più fare, ma per colmare gap psicologici, relazionali e culturali. Altra tematica attuale portata alla ribalta da Mayorga nel suo testo è ovviamente quella della solitudine: l’Uomo basso (e in seguito anche sua moglie) decide infatti di ricattare l’immigrato non perché razzista, ma in quanto è alla ricerca di una persona con cui condividere interessi e fare cose semplici come andare a pesca o visitare uno zoo. E per ironia della sorte la prima nazionale va in scena a Milano, città che secondo alcuni dati del 2008 è la capitale della solitudine ossia l’area metropolitana dove le persone si sentono più sole. L’isolamento nella moltitudine, ancor più che il tema dell’immigrazione che, in fin dei conti, resta sullo sfondo della vicenda, è probabilmente il vero motore di questo testo ed è quello che porta a stemperare la meschinità del ricatto.
Per quanto riguarda la messa in scena, curata dal regista Bruno Fornasari, risulta convincete, anche se in alcuni momenti sembra far mancare un po’ di ritmo alla narrazione. Interessante soprattutto la scelta scenografica di Erika Carretta, che sfrutta in modo intelligente le limitate dimensioni del palcoscenico illuminando di volta in volta, con un fascio di luci, l’appartamento dell’una e dell’altra famiglia, appartamenti che convivono sul medesimo piano. Un po’ meno convincente, invece, l’interpretazione dei quattro attori sui quali spicca sicuramente Emanuele Arrigazzi, capace di portare in scena un Uomo basso viscido al punto giusto da evitare che appaia come una sorta di maniaco e a consentire al pubblico di comprendere almeno in parte le sue ragioni.
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