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De Meo: incontrare lo spazio

CarloDeMeo
[ARTI VISIVE]

CarloDeMeoC’è un uomo. C’è una stanza, uno spazio. Quell’uomo che vediamo è un artista, ma potrebbe essere un uomo qualunque. Ma quello spazio è unico, solo, definito. I due s’incontrano. Lo spazio è immobile, non parla, si fa osservare. L’uomo invece ha una sua storia, un suo modo di guardare la vita ed è inevitabilmente condannato a sentire le cose del mondo. Quello spazio, qualunque esso sia, sicuramente non potrà lasciarlo indifferente.

L’uomo si potrebbe sentire accolto, soffocato o potrebbe sentire appagato il suo gusto del bello, sicuro è che non potrebbe non sentire nulla. E qui sta la differenza: l’uomo qualunque probabilmente attraverserebbe quello spazio facendosi accompagnare dalla sua percezione di esso, ma una volta uscito dalla stanza la farebbe addormentare accanto alle altre, nel luogo in cui sospendiamo quelle sensazioni che non determinano da sole il nostro stato d’animo, ma che comunque sono fondanti per la nostra soggettività se avvicinate alle altre.
Il nostro artista invece, quello che ora osserviamo muoversi nella nostra stanza, non condannerà quella percezione alla latenza, ma l’ascolterà con attenzione, cercherà di leggerla, di interpretarla. Perché? Perché vuole che  la sua opera sia proprio questo, ovvero la rappresentazione fisica di quella stessa percezione, l’oggettivazione della sensazione creata dal suo incontro con quella stanza.
Attenzione però a non dire al nostro uomo qualunque che è diverso dall’artista per sensibilità. Il vero terreno di confronto è la necessità: è necessario per il nostro artista tradurre in opera d’arte il suo rapporto con quello spazio, perché su questo sta lavorando, questo è ora il campo che sta indagando, tanto da costruire tutte le sue opere solo a partire dallo spazio che ha a sua disposizione, mai al di fuori di esso.
Dimenticavo le presentazioni: l’artista che abbiamo spiato si chiama Carlo De Meo, la stanza è
lo spazio dedicato alle arti visive dell’Associazione Culturale SoS Students, mentre l’opera è quella, unica, della mostra Per favore non guardarmi negli occhi.

Quest’ultima è un’installazione site specific di 18 mq, un monolite costruito da mattonelle decorate, che occupa la stanza quasi nella sua interezza. Quando si entra, la delicata raffinatezza estetica conduce l’occhio a soffermarsi sulle decorazioni, ma non ci si accontenta. Forse anche perché sollecitati da un suono in codice morse che riempie lo spazio, si capisce che quel monolite sta nascondendo qualcosa. Così si arriva a scorgere tre piccole finestre, uguali, su tre lati. “E allora?”  “Non si può non spiare”. “E chi c’è?” “Mio Dio, qualcuno mi sta guardando! O meglio, forse sono io che sto guardando qualcuno, in casa sua, senza avergli chiesto il permesso!”.
In ognuna delle tre finestre infatti c’è un volto, in resina, ma dello stesso colore delle mattonelle, che spostato un pò di lato guarda l’osservatore con aria ritrosa, facendolo quasi pentire di essersi abbandonato a quella curiosità. Ciò che De Meo vuole fare, infatti, è un discorso sull’intimità, che oggi spesso viene violata da osservatori impertinenti. Così dove i tre volti, l’interno del monolite, rappresentano la vita interiore, la parte esterna dello stesso, più schematica e razionale, rappresenta la traduzione che facciamo di questa, per offrirla al sociale. L’esposizione s’intitola  infatti “Per favore non guardarmi negli occhi”: io mi offro al rapporto con te, per te ritraduco la mia essenza, ma per favore non guardarmi negli occhi, non cercare di osservare ciò che ho scelto di conservare per me solo, non violare la mia intimità.

L’artista però non ci parla solo di questo: nel costringere l’osservatore  ad una lenta scoperta della sua opera, lo pone a confronto con una temporalità tipica dell’esistenza. Ciò che accade all’osservatore, che quando entra nella stanza non riesce a cogliere il monolite nella sua totalità ma arriva a scoprirlo pian piano, è ciò che accade all’uomo quando si rapporta ad un altro uomo o all’esistenza, ed è sottoposto al rischio della scoperta dal momento che l’interezza, forse irraggiungibile, è sempre la lenta somma delle scoperte parziali. Questa scansione della  rivelazione è vista da De Meo come positiva, la scoperta per gradi determina la molteplicità della sorpresa, in una scoperta in cui “tutto è codificabile, ma niente è codice”.

Riavviciniamoci però al nostro uomo qualunque, che avevamo lasciato fuori dalla stanza. Invitiamolo a rientrare. Ora lo spazio è pieno, a riempirlo c’è l’opera di De Meo. Il nostro uomo, che come vi ricordate aveva relegato a sottofondo la sua percezione adesso dovrà necessariamente oggettivare a se stesso una qualche sensazione. E qui s’incontrano lui e l’artista: quest’ultimo infatti è come se costringesse il primo a fare il suo stesso lavoro, reinterpretare lo spazio. È vero che all’uomo qualunque gli si offre uno spazio già riempito di contenuti, ma è anche vero che questi verranno comunque filtrati dalla sua soggettività, determinata dalla sua storia personale, permettendogli di costruire all’interno di quello spazio e davanti a quell’opera infiniti altri significati.

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