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Cultura alta, tradizione popolare

CANTEJONDo
[LETTERATURA]

CANTEJONDoROMA-“El cantar tiene sentido” recita una canzone popolare venezuelana ripresa nel ’69 da Isabella Parra, figlia della celebre voce degli Hintillimani, Violeta. Nella scelta di questo titolo c’è tutta l’essenza della conferenza  conclusasi lo scorso 30 aprile alla “Casa della Memoria e della Storia” di Roma. L’incontro ha illuminato le interconnessioni tra la tradizione popolare ispanica, la cultura alta e  l’impegno sociale che riguarda testi di musica come di poesia.

L’intera conferenza è dedicata alla memoria del cantautore spagnolo Chico Sánchez Ferlosio che, con il  disco clandestino Canciones de la resistencia española del 1931, influenzò non poco la canzone di protesta latinoamericana che esploderà trent’anni dopo.
La connessione tra i due aspetti è rintracciabile già in tempi lontanissimi se pensiamo, per esempio, alle favole di Esopo: memoria popolare collettiva alla quale venne data forma letteraria. Il professor Fernando Martínez de Carnero dell’università “La Sapienza” però, specifica che la ricerca che si sta portando avanti riguarda tempi molto più recenti, perché è necessario dare dignità anche alle forme d’arte contemporanee troppo spesso declassate rispetto alle espressioni artistiche antiche. Ecco dunque che ci ritroviamo a parlare di cantautori e poeti attivi tra gli anni ’30 e ’70 del Novecento.

La canzone di protesta si distingue da quella più propriamente lirica per la sua essenza narrativa, rifacendosi direttamente alla tradizione epica antica di riconosciuta discendenza popolare. Tracce di questo passato quasi sepolto sono i “troveros”, poeti improvvisatori spagnoli attivi in alcune zone rurali ancora oggi. Negli anni ’30 la Spagna rappresentò una sorta di fucina d’avanguardia delle canzoni impegnate e di denuncia sociale, a causa di quella che fu una specie di prova generale del primo conflitto mondiale. La guerra civile tra Franchisti e oppositori repubblicani  portò in terra di Spagna le Brigate Internazionali, che consegnarono e assorbirono l’impegno politico e civile. Così a Barcellona a metà degli anni ’30 venne inciso Seis canciones para la democracia, una raccolta di inni politici contro i regimi dittatoriali interpretati anche dal coro del battaglione Thaelmann dal tenore tedesco Erns Busch. La vittoria di Franco e dei nazi-fascismi europei determinò la fine di questa corrente in Spagna e nel Vecchio Continente, che però diede i suoi frutti in America Latina. Molti poeti, quali Neruda, Alberti e Guillén, iniziarono a reinterpretare la poesia lirica colta in forme popolari, mettendola anche in musica, una tendenza ripresa dai cantautori un decennio più tardi. Insomma, è un dato di fatto che i poeti hanno “trascinato” e arricchito la canzone sociale-politica di protesta, parallelamente a quanto stava facendo Bob Dylan negli Stati Uniti.

Il rapporto strettissimo esistente tra la poesia popolare e quella colta si materializza nella figura LORCAstraordinaria di Federico Garcìa Lorca. Siamo ancora in Spagna, ancora nei primi anni ’30. El cante hondo è probabilmente l’opera emblematica dell’apporto popolare nella lirica del poeta. Il titolo della raccolta prende direttamente il nome da un canto tradizionale andaluso, una “poesia del dolore” da cui Lorca attinge sempre. È un canto lontano dal gusto canonico al quale siamo abituati, perché non educato alla melodia di marca occidentale. Simile al flamenco, si tratta piutosto di un lamento a tratti rabbioso, una voce graffiata con picchi di collera e abissi di malinconia. Lorca trova in questo canto doloroso l’espressione sofferente di tutto il suo popolo, paradigma a sua volta dell’umanità intera vittima del “secolo della catastrofe”. Lorca andò in cerca degli ultimi cantori di questo dolore, registrandoli e incontrandoli nella loro terra. Così abbiamo la possibilità di ascoltare la registrazione originale di una delle voci più emozionati del cante hondo, Pastora Pavón. Il poeta racconta che per ottenere una voce più roca, la catante, riscontrando poco calore negli ascoltatori, bevve d’un fiato dell’agua ardiente, un liquore simile alla grappa, per riprendere a cantare più espressiva che mai. E il pubblico andò in delirio.

Dalla Spagna all’Italia, continuiamo a ripercorrere l’intreccio tra mondo lirico colto e popolare: il circolo G. Bosio ci presenta un gruppo di poeti improvvisatori di versi in ottava rima.
Il circolo continua a portare avanti una tradizione simile a quella dei troveros spagnoli, che fondono la tradizione antica di lirica popolare e tematiche contemporanee. Assistiamo ad una vera tensione in versi in cui i poeti si sfidano su due temi a contrasto: ognuno ne impersona uno e inventa versi in rima per addurre la superiorità delle proprie ragioni. Così seguiamo lo spassoso alterco tra Berlusconi e la moglie, forse ex, Veronica; un dialogo a quattro tra le stagioni dell’anno e, immancabile, uno scambio di rime tra la poesia colta e quella popolare.

canciones_del_la_resistencia_espanolaIl piccolo spettacolo di improvvisatori apre l’ultima parte dell’incontro, che vede protagonista proprio uno storico poeta improvvisatore di Palestrina, nei pressi di Roma, Nello Innocenti. La sua figura è poetica e affascinante: pastore, operaio e attivista politico, Nello e la sua voce sono custoditi all’interno dell’archivio sonoro di Franco Coggiola come veri cimeli di un poetare che va scomparendo. Del tutto autodidatta e con l’istruzione scolastica di un pastore, Nello Innocenti ha passato la vita raccogliendo testi di poeti come Ariosto, Tasso e perfino lo stesso Dante, custodendoli gelosamente anche ai tempi della trincea durante la guerra. La sua voce racconta delle idee che nel tempo è andato facendosi della poesia e dei grandi poeti, come in una personale storia letteraria, illustrando ad esempio l’esemplarità di Tasso nel tema pastorale. Nella stessa visione del poeta antico, Nello Innocenti rivede sé stesso ragazzo e la vita tra i campi, così come i pastori stessi la autorappresentano in una delicata celebrazione. Questa voce, che sembra venire da lontano, sa emozionare. Il tono va e viene come un’onda sonora che, in una parlata romanesca a volte poco comprensibile anche a noi, esprime tutta la sua forza poetica.
Al termine di tutte queste testimonianze, possiamo ancora affermare una divisione tra lirica colta e poesia del volgo? Potremo ancora vedere nelle manifestazioni delle espressioni artistiche popolari una benevola e paternalistica concessione delle élite culturali di ogni epoca storica? Alla luce di tutto ciò, questi mondi paralleli non appaiono che la manifestazione multipla dell’unica forza creativa umana.

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