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MArteLive 2008 V serata: le nuove strade della sperimentazione

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Tra pittura e illustrazione

Mario Fois, artista sardo, spettacolarizza le sue emozioni trasferendole con spontaneità assi-curata e altrettanto estremo controllo del gesto su tele astratte di grande impatto visivo, in cui i colori primari esplodono vitalisticamente in tracce informali dalla vaga ascendenza biologistica ricordano cioè accadimenti molecolari che galleggiano entusiastici nello spazio definito da onde di pigmento, celebrando l’esuberanza di un brodo primordiale psichedelico. La fluidità sensuale con cui il colore si spande, diffonde e ramifica sottile nel calibrato dripping infatti trasmette le stesse sensazioni amniotiche delle diapositive proiettate alle spalle dei primi Pink Floyd nei loro concerti londinesi, ma qui l’inquietudine sembra assente, e l’artista conferma che l’emozione preponderante in questa sua espressione gestuale semi-“automatica”, pollockiana è la felicità. Della creazione.
Alessandra Fusi, tra pittura e illustrazione, diplomata allo IED di Roma, certifica con certosino puntiglio l’esistenza di una ridda di personaggi reduci dalla partecipazione a qualche fiaba metafisica. Figurine sottili ma non inermi, tranne quando illustrano libri per ragazzi, sono inscritte da Fusi in scene sospese nel tempo, la cui rarefazione è dovuta sia ai toni morbidi dell’acquerello sia al fine disegno, talvolta sostituito o contrappuntato da tratti cuciti a mano con il filo, talaltra da innesti di dettagliato collage. La minuzia surreale in quest’artista si sposa ad una ricerca non banale sui materiali: la carta di riso ammucchiata e ricoperta di vernice screpolante può essere, ad esempio, il giusto artificio per dare plasticità alla rappresentazione essenzialmente bidimensionale, ma ben ombreggiata, di un mondo onirico non privo di ironia, in cui l’acrilico ed i mixed media producono un incanto irresi-stibile.

Anche Vincenzo Grosso è sardo, e la sua prassi artistica, che abbisogna di tempi lunghi per lasciar seccare il colore, gli ha impedito di giungere entro la fine della serata del 27 Maggio allo stadio finale dell’interessante opera cui stava lavorando live; ciò nondimeno si è potuto apprezzare il ramage fitto e convincente dei suoi segni, anzi delle lettere quasi cifrate entro una tessitura miniata, che l’artista traccia sulle sue tele, denotando un approccio molto affine al writing. Le scritte, non immediatamente coglibili se non nel loro aspetto squisitamente estetico-calligrafico, inneggiano giustamente: “Save Tibet”, “Dream Power”, richiedendo per la decodifica un certo grado di partecipazione interattiva da parte dello spettatore. L’autore è convinto che la spontaneità oggi si viva in strada, che sia “street”, tuttavia il suo lavoro resta al tempo stesso legato alla pittura, visto l’uso di smalti tradizionali e a ferro nitro ma dato soprattutto il suo ricorso a velature. La sua metodologia, per spandere in calcolate volute i suoi lavanda, grigi e porpora, include d’altro canto anche il ricorso a spatole, alle sue stesse mani, più carta vetrata e mocio Vileda, e questo forse un tradizionalista bigotto non se lo aspetterebbe da un’insegnante d’arte quale Grosso è, noi invece sorridiamo compiaciuti. Unica obiezione poco seria: più che “street”, questa sembra una nota “house”!

Fabrizio Cicero, originario della provincia di Messina, è recentemente giunto ad una drastica revisione del suo stile. Predilige un’espressione figurativa ma sintetica, scarna, asciutta, perché ritiene che gli garantisca un impatto incisivo, una leggibilità immediata, cosa che non poteva dirsi delle oscure opere cubo-metafisiche del suo periodo precedente, ormai definitivamente ripudiate. L’opera presentata nella serata del 27 Maggio mostra in un impianto “cinematografico”, ossia in un trittico in bianco e nero sequenziale, narrativo, il disfacimento autunnale, ad opera di un refolo di vento, della figura d’un prete dopo aver letto su un quotidiano una grave notizia che forse lo riguarda, forse un abuso?.. In altre opere dello stesso ciclo l’artista ha ritratto una coppia lesbo di fumatrici, sempre con la stessa essenzialità, che a suo dire è anche sensualità. La carica di critica sociale, quando è presente, non è però insistita, l’autore guarda ai suoi soggetti solo come a uomini e donne con i loro errori. Superato egli stesso un periodo di revisione, Cicero si con-fronta oggi efficacemente con il mondo riducendolo a parvenze atossiche, manipolabili attraverso i loro contorni da marionette consumate su uno sfondo bianco che sa d’un Assoluto senza troppi commenti. Ed il prete scola via come il professore tedesco di “Morte a Venezia”. Divertente, dice Cicero.

(Marco Settembre)

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