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MArteLive 2008 V serata: le nuove strade della sperimentazione

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Classici, accademici, miscelati: i Quintorigo

Intervistiamo i Quintorigo in questa V serata musicale al MArteLive. Siamo riusciti a fermare Valentino Bianchi, sassofonista impavido della ormai mitica formazione che ci ha risposto con ampiezza e generosità. Sentiamo cosa ci ha detto…

SanRemo nel 1999 è apparso stravolto dopo la vostra esecuzione di “Rospo”. Siete voi ad essere arrivati troppo tempo dopo gli anni’70, o sono gli anni ’70 ad essere arrivati in an-ticipo?
Ah beh, nessuno si ricorda ormai di quella performance, ci fa piacere che lo faccia tu. E’ stato in realtà molto più importante per noi che per il pubblico italiano. A noi oggettivamente ha cambiato la vita; prima di allora eravamo una band di provincia che suonava nei pub, mentre da quel mo-mento in avanti la nostra fama si è allargata all’ambito nazionale. In quell’occasione abbiamo por-tato la nostra musica su un palco inconsueto.

L’obliquità dei vostri arrangiamenti potrebbe rendere estraniante anche la sigla di Carosello o vi ponete dei limiti etici nello specifico musicale? Sappiamo bene che alcuni dei vostri concerti sono serviti a raccogliere fondi per AMREF o in favore di Greenpeace.
Sì, noi soprattutto al di fuori del contesto musicale, in cui “esageriamo”, abbiamo un certa attenzione all’etica, alle cause sociali. Da bravi ragazzotti di provincia ci preoccupiamo anche dei mali che affliggono l’umanità. Non ci droghiamo, non pensiamo troppo alle donne (o agli uomini, nel caso di Luisa). Come ogni artista ci preoccupiamo anche delle cose importanti perché in quanto personaggi pubblici abbiamo qualche possibilità in più di sensibilizzare una vasta cerchia di persone. Per quanto riguarda l’ecologia il nostro impegno è di vecchia data, con l’AMREF invece collaboriamo da poco, perché li abbiamo conosciuti personalmente e stanno facendo davvero un lavoro ottimo, dove ce n’è bisogno.

Il vostro accostamento ai Gentle Giant, che fu tentato da un critico sempre nel 1999, come è stato vissuto da voi? Lo avete rifiutato, considerate un azzardo essere avvicinati al progressive, genere percepito da alcuni come troppo intellettualistico?
Guarda, l’accostamento al progressive non è sbagliato, tanto più ad esempio, che noi adoriamo gli Area, perché sono stati il più grande fenomeno della scena italiana rock degli ultimi 50 anni. E’ anche vero che noi non siamo esperti di prog, non siamo partiti da lì, anche se poi ci siamo documentati. Quello che ci avvicina a questo genere è l’intento sperimentalistico, che abbiamo sempre avuto e che non è neanche legato solo al progressive; era tipico anche di Mingus, ad esempio, ed apparteneva anche a Bach! Noi abbiamo un background classico, accademico, miscelato ad un’esperienza rock da pub nonché jazz.

Qualche anno fa chi si dedicava a produzioni sperimentali, scegliendo di fare musica di ricerca si considerava un amante del rischio. Il panorama e le condizioni generali sono cambiate negli ultimi tempi?
Noi siamo sempre stati amanti del rischio anche in maniera inconsapevole tant’è vero che non ci siamo mai arricchiti anche quando forse potevamo farlo. Dici che non è mai troppo tardi? No, non sono d’accordo, perché è vero che i tempi sono cambiati e oggigiorno con la musica non si arricchisce quasi più nessuno perché il mercato discografico è praticamente affondato per colpa della pirateria… Comunque noi non abbiamo certo iniziato a suonare e scrivere musica insieme pensando alle nostre finanze, lo abbiamo sempre fatto pensando prima di tutto al nostro appagamento, che è qualcosa di più del divertimento.

Non ci sono dubbi che ascoltarvi sia un’esperienza appagante. Si tratta di una musicalità molto ricca e colta, visti anche gli strumenti che utilizzate. Il vostro tecnico del suono non insiste magari per aggiungere il piano o qualche tastiera?
No, il fonico cerca solo di far rendere al massimo questi strumenti così “strani”, per offrirgli le migliori condizioni possibili di risonanza. Da questi strumenti appartenenti alla tradizione classica cerchiamo già così di sviluppare sonorità nuove usandoli in maniera eterodossa, dissacrante, a volte.

“Quintorigo plays Mingus” è il titolo del vostro ultimo lavoro, un’opera monografica multidimensionale: disco più live più aspetto documentaristico. Puoi parlarci di questo ultimo punto?
Per fare un lavoro del genere che, senza peccare di immodestia, ci risulta che nessuno avesse affrontato prima, neanche gli americani, ci siamo documentati per più di un anno con letture di libri e giornali d’epoca, testimonianze varie, autobiografia di Mingus e biografia scritta dalla moglie, contributi video e tutta la discografia studiata, trascritta e riarrangiata; il tutto perché volevamo tracciare un ritratto a tutto tondo che comprendesse la dimensione esistenziale del personaggio, perché al contrario di altri jazzisti di fama che si sono consumati in comportamenti a rischio o si sono dissolti in dimensioni puramente estetizzanti, Mingus ha lasciato un messaggio molto attuale, di pacifismo, e anche di uguaglianza razziale, anche se in maniera magari un po’ burbera. Nel nostroi live su Mingus tutto ciò viene portato dinanzi al pubblico con videoproiezioni e letture dall’autobiografia; inoltre si vedrà in un video Mingus che suona il piano e noi lo accompagneremo con i nostri strumenti come se interagissimo con lui. La scenografia è minimale, con un fondale serigrafato e la presenza sul palco di lampade vintage che aiutano a ricreare una certa atmosfera anni ’50 e ’60. Infine, la nostra è un’opera live che ha uno sviluppo cronologico: parte dall’infanzia e arriva alla morte di Mingus, un momento molto intimo e toccante, a detta del pubblico.

Tornando al vostro concerto di stasera 27 Maggio 2008, il vostro è un set acustico che però riesce a trascolorare da passaggi poetici e meditativi, a sonorità più sode, spazzo-lando anche i crani più pigri. Insomma: è un metodo educativo o uno stile di vita?
E’ un nostro stile di vita che può diventare anche una sorta di didattica per le orecchie più ottuse… che però ai nostri concerti non vengono, dici bene! Purtroppo il pubblico è massificato, ma non perché sia ignorante, piuttosto perché siamo tutti un po’ bombardati dalle stesse cose: MTV, radio DJ, pur con tutto il rispetto, anche noi a volte gli portiamo il nostro materiale. In realtà quello che percepiamo è che il pubblico giovane e meno giovane ha voglia di novità, di cose diverse, ma anche di cose vecchissime che nessuno gli fa più ascoltare. Se qualcuno ascoltandoci dovesse interessarsi alla musica di Mingus o al jazz in generale, per noi sarebbe già una vittoria. Poi può anche buttare via il nostro disco, se si compra la discografia completa di Mingus…

No, non può essere; decisamente. Archi che sembrano chitarre elettriche post-belliche, sassofoni che crano sconquassi espressionisti, contrabbassi che segnano avanzamenti sordidi del ritmo, e la voce di Luisa cottifogli che, usando timbri diversi, sembra quasi che voglia stamparli sulla fronte degli ascoltatori mentre sale a cavalcioni del pentagramma. Come vi regolate con Luisa? Fate conto che sia John Di Leo dopo un’operazione per il cambio di sesso?
No, perché sono due musicisti completamente diversi. Sai, però, mi piace questo nostro ritratto, sei in gamba. Ad ogni modo, la separazione con John è stata una cesura importante nella nostra storia, ma – come sottolineo sempre – l’elemento di continuità è fortissimo: noi quattro siamo rimasti e così anche la produzione ed i fonici, ed anche gli intenti sono ancora gli stessi. Qualco-sa abbiamo perso, qualcos’altro abbiamo guadagnato. Dal punto di vista umano abbiamo acquistato una notevole serenità. Siamo contenti anche per John che pare abbia trovato la strada che stava cercando da anni; voleva fare il solista, ora può farlo, e noi gli auguriamo il meglio, ma soprattutto lo auguriamo a noi che abbiamo davvero faticato a rimettere in piedi il progetto così com’era nato.

Qualche critico poco avveduto ha considerato il vostro penultimo lavoro un disco “pesante”, io mi dissocio decisamente da questo giudizio e piuttosto, parafrasando un paio di vostri titoli, mi auguro che questa intervista non sia stata un “Momento morto”. Ci resterei male, anche se ormai, comunque, ce la siamo lasciata “Alle spalle”…
Divertente anche questa trovata, anche a me piacciono i giochi di parole e le citazioni, quindi ti rassicuro: questa intervista è stata un momento piacevole e divertente, chissà che voi del MArteLive non abbiate modo di seguirci anche ad un concerto “Quintorigo plays Mingus”…

(Marco Settembre)

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