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Le Invisibili

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Foto-2-le-invisibili-[TEATRO] 

ROMA- Raccontare una storia significa conferirle un corpo ed una voce, strappandola con decisione al limbo indistinto a cui l’indifferenza l’ha condannata. Questo, almeno, è quanto si propone di fare Le invisibili che – al Teatro Valle dal 17 al 26 Aprile – porta in scena le drammatiche vicende di sette donne sottoposte alla brutale punizione dell’acidificazione.


Dalle cupe testimonianze raccolte nel libro Sorridimi ancora: dodici storie di femminilità violate, emergono i percorsi di Saira, Nasreen, Nassera, Tasneem, Shanaz, Mumtaz e Sabra che – lungi dall’essere esempi isolati di situazioni estreme – rappresentano solo una piccola selezione delle molte vittime silenziose di questa agghiacciante pratica di ritorsione.

Le protagoniste – splendidamente interpretate da Claudia Gusmano, Sabrina Knaflitz, Carolina Levi, Serena Mattace Raso, Antonia Renzella, Laura Rovetti e Federica Stefanelli – inondano il palcoscenico con la malinconica forza della propria adolescenza, ormai prossima ad infrangersi nel talamo imposto da qualche matrimonio combinato. I chioccianti dialoghi infantili, ancora intrisi di euforia e musicalità, cedono gradatamente il passo ad una maturità precoce e feroce che manifesta in fretta tutta la durezza della nuova condizione.
La spensierata intimità delle loro confessioni – dense di progetti romantici e di un ingenuo ottimismo circa il futuro – converge intorno a un unico elemento scenografico, indefinibile eppure enormemente evocativo. La cornice minimalista, predisposta da Andrea Nelson Foto4-le-invisibiliCecchini, è completata dalla presenza, sullo sfondo, di sette veli che – giocando con la delicata illuminazione di Michelangelo Vitullo – mostrano stralci sottili dei timidi volti delle ragazze. 

Il valore documentario dello spettacolo si nutre direttamente dell’esperienza maturata su campo dall’Associazione Smileagain che opera da anni per restituire un sorriso effettivo e morale ai molti visi deturpati dall’aggressione e riversa nel testo il senso stesso del suo progetto umanitario. La produzione, in effetti, è un bell’esempio di impegno civile che – sfruttando la ritualità insita nell’evento teatrale – cerca di offrire la giusta risonanza ad un fenomeno tristemente diffuso.
Nel farlo, tuttavia, la rappresentazione non rinuncia ad una buona dose di retorica che gli impedisce di affrontare la questione da un punto di vista critico originale e, di conseguenza, di proporre strade concrete per il suo superamento.
Accanto alla performance vivida e dinamica delle giovani attrici, infatti, la regia di Emanuela Giordano colloca l’austera figura di Maddalena Crippa a cui affida una funzione di sintesi talvolta superflua, data l’efficacia espressiva dell’azione scenica. Il suo contributo, inoltre, stenta a raggiungere l’essenzialità e si disperde in una lunga esposizione dal sapore accademico che sintetizza le possibili considerazioni socio-antropologiche in una generica linearità evoluzionistica, contrapponendo la loro arretratezza al nostro presunto avanzamento culturale.

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