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Dai topi ai sogni d’amore

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il7I Vinegar Socks pizzicano corde simulando sgocciolii di note in “Life in the sewer” (Vita nella fogna) accompagnando con tenerezza il tran tran di un poveraccio dentro e fuori dal suo tombino, e quando, nelle rigide serate invernali, torna al suo ricovero dopo aver fatto la spesa nei cassonetti con una social card di cartone tra i denti per avere le mani libere per frugare meglio…

quando le nubi sembrano imbrigliare la luna sfocata, lui pensa che non se la sentirebbe di farsi una pelliccia con le pelli di topo perchè sa che non potrebbe farlo senza compromettere i rapporti coi suoi vicini di casa, il cui squittìo gli è utile per addormentarsi, tra il puzzo delle parti basse della città. La raffinatezza degli spartiti dei Vinegar Socks è testimoniata non solo dalla presenza di violino e contrabbasso, ma anche da un loro utilizzo complementare alla malinconia universale, che coinvolge voce e chitarra in combinazioni incantevoli di strutture armoniche interessanti e melodìe disarmanti degne di Spider (di Cronemberg), in cui il ramage fitto e dialogante degli stru-menti riserva soluzioni intrepide nella sua acusticità rarefatta e sottile (“Ashmites”). In “Chimney sweeper” (“Spazzacamino”) cesellata e lirica, ma anche in “Eloise”, invocazione toccante e screpolata, si intessono narrazioni che sembrano piacevolmente estranee al contesto italico e che riportano all’aulica arte dispiegata in pezzi come “Trio” dei King Crimson. Volendo ciurlare nel manico, potremmo aggiungere che “Flood lights” sarà forse una ballata portuale sofisticata, nel suo folk arpeggiato, da accoppiare con i Procol Harum di “A salty dog”, ma dalla Prefettura fanno sapere che non è proibito ascoltarla a Civitavecchia, quando le mareggiate sembrano minacciare anche i pub più allegrotti. Sound e composizioni notevolissimi.

Paolo Borgi si applica nell’allestimento di ampie e ariose hits potenziali. Anche se è oggi immer-so nel progetto ALLINFO (info: www.allinfo.it) assieme alla sua band, gli iROSE (www.my space.com/irosemusic), chi ascolta i suoi brani non può mancare di notare come lo studio musicale Lead gli ha trasmesso l’impulso a comunicarsi come lead singer d’impatto a tutti i consumatori di pop emozionale. “Non ho più alibi” suona come una confessione di esplosività liberatoria, la raggiunta consapevolezza di potersi guadagnare pattuglie di fans dal cuore e gli occhi lucidi, di poter dare una direzione entusiasmante a questa energia. “Di cuori protesi” si deve cantare senza fermarli, e bene fanno gli assoli di chitarra, come in “Sogno d’amore” e “Tra le mie mani”, ed il motore percussivo a spingere la melodia su per il suo corso inarrestabile con suoni rock dolci e avvolgenti. Sensazioni positive, anche quando come “Il treno per l’aurora”, compone con classica limpidezza i pensieri di chi conserva al caldo la propria anima ma invoca l’intervento di qualcuno che la trasporti in un viaggio insieme ad un brivido, soddisfacendo l’“esigenza di perdersi lì dove non c’è l’eternità ma solo una lacrima”. www.myspace.com/borgimusic.

Gli Unmask accalappiano l’ascoltatore con delle strette cappiole di riff a mò di cravatta e lo trascinano dentro atmosfere opaleggianti in cui le percussioni si allentano e la chitarra solista ovalizza suoni spettrali, ma l’avanzamento riprende, accidentato, finchè il blocco non svanisce “disappear!..” e viene ristabilito il setting allarmante di partenza (“Unmask”). Un attacco rock piuttosto epico che intacca tutte le certezze di quelli che in macchina intasano la corsia di sorpasso a 50 all’ora e li svillaneggia con un chitarrismo nervoso ma piuttosto variegato che crea effetti di sorpresa anche quando spiega quello che gli serve – “All I need” – per prodursi con decisione dando fondo a due ugole invece di una, in una notte profonda come un filosofo che ha sniffato cartapesta. La crudezza disperata di questi arrangiamenti tradisce un’intensità, nella concezione musicale, che sarebbe diseducativo accostare alla disperazione di Lapo Elkann che non riesce a vendere i suoi calzini usati al prezzo dei suoi occhiali; ci sembra più adeguato parlare di un’urgenza espressiva che si sovrappone al talento determinando atmosfere sinistre e avvincenti. “Teaser soundtrack” è sperimentale, un piccolo labirinto sonoro destinato forse, se sviluppato ed esteso, a incidere nell’economia espressiva di un cortometraggio di Kusturica visto al contrario (www.myspace.com/unmask).

Dei miei Dèi (http://www.myspace.com/deimieidei ) con “Strano l’odore” stabiliscono che uno strippo olfattivo per il profumo d’una donna deve avere un sostegno di chitarra ritmica paranoico per poi trovare negli assoli un appa-gamento scostumato che può essere indizio della ricerca di un appagamento sessuale sublimato nella musica con incoscienza soda e virulenza esecutiva. “Spazio intorno” elettrifica anche gli angoletti della stanza degli ospiti alla ricerca di “…mo-struosità!” che si manifestano con uno squaglio di sei + sei corde senza l’utilizzo di crema emolliente per le dita; se questo è lo spazio intorno che questi musicisti cercano di ritagliarsi, non dubitiamo che anche gli addetti al loro impianto luci diventeranno presto orgogliosi della loro ne-vrosi senza accorgersene: “Follia a me! Ti sfido!!” (“Se la notte R”) E mentre noi approviamo con calore, le impalcature strumentali fumano, la voce stinge colori poco decifrabili, e l’ardire e l’ar-dore di questi sacerdoti, intenti ad arroventare l’atmosfera come un ceppo tribale, va a provocare la furia degli stessi Dèi infidi a cui loro sacrificano zucchine ripiene. Quella che esprimono in mo-do vibrante e compatto i Dei miei Dèi è una tensione allucinata, un pregnante groviglio che favo-risce l’insorgenza di uno stress positivo ottimo per rinsaldare le orecchie dopo giornate di dura sopportazione di fastidi “discreti”. L’uomo che sussurrava ai cavalli non avrebbe cantato questi brani neanche ad un ronzino sordo, ma a noi che ce ne frega?

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