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Liola’ in Linea di Confine

[TEATRO]

È un «Liolà» molto sobrio quello che la Compagnia Linea di Confine ha realizzato sul palcoscenico del Teatro Tordinona di Roma dal 26 al 30 novembre. Uno spettacolo che non stupisce e non delude, gradevole nonostante una pedissequa coerenza testuale che penalizza inevitabilmente la carica irriverente e rivoluzionaria del dramma in apparenza meno impegnato di Luigi Pirandello. La prorompente vitalità di Liolà, contadino libero e passionale, si oppone tanto alle logiche del potere materiale di Zio Simone, ossessionato dal possesso della “roba”, quanto alla mentalità maligna ed esteriore del microcosmo femminile.

In quest’opera le tematiche pirandelliane dell’essere e dell’apparire si colorano di un’insolita spensieratezza e di un’esuberanza pagana e genuina attraverso cui l’autore svela il fascino antico della Sicilia rurale in cui ha trascorso l’infanzia.
Il Liolà interpretato da Salvatore Belcaro non riesce però a concretizzare l’energia dionisiaca propria del protagonista rendendo poco incisivo anche il messaggio, potenzialmente dirompente e sovversivo, di cui si fa veicolo. Più convincente, invece, l’interpretazione di Paola Sotgiu – nei panni di Zia Croce – e soprattutto di Angelo De Angelis, che conferisce a Don Simone un’aura minacciosa ed intimidatoria. Ma il personaggio più riuscito – e forse l’unico in grado di valorizzare anche le risonanze comiche del testo – è senza dubbio quello di Gna Carmina, realizzato da una bravissima Tiziana Procopio che, attraverso la sua impeccabile presenza scenica, innalza il livello recitativo di tutto il cast.

La connaturata musicalità del testo è sottolineata da brevi coreografie ispirate alle danze popolari del sud e dall’uso di brani composti da Domenico Modugno nel 1968, in occasione dell’allestimento che lo vide protagonista. Tuttavia la scena, che si avvale dei colori e dei profumi del fieno per evocare le atmosfere campestri, rimane piuttosto statica.
La regia di Roberto Belli, infatti, rinuncia a soluzioni particolarmente originali e preferisce muoversi su un terreno poco rischioso, proponendo un uso dello spazio spesso prevedibile, con l’eccezione del dialogo con il fuori scena che si spinge, attraverso la platea, sino al foyer del teatro. L’allestimento non si espone a scelte particolarmente coraggiose nemmeno sul versante interpretativo, proponendo un’esegesi tradizionale anche da un punto di vista filologico che non si accontenta di riprodurre un’eco dell’inflessione sicula ma spinge gli attori a cimentarsi con il dialetto stretto delle campagne.

Nel complesso lo spettacolo consente di trascorrere una piacevole serata e si conforma alle attese connesse alla commedia pirandelliana senza tuttavia trovare lo slancio e l’audacia per entusiasmare veramente il pubblico.

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