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Graziosi: Lezione su Ionesco

[TEATRO]

La Lezione è il secondo testo drammatico di Eugene Ionesco, quello che, assieme a La cantatrice calva, costituisce la parte più provocatoria e sperimentale del percorso drammaturgico dell’autore di origine romena. L’opera andò in scena per la prima volta il 17 febbraio 1951 al Theatre de Poche con la regia di Marcel Cuvelier e venne pubblicata nel 1954, diventando in breve uno dei testi più celebri del cosiddetto “teatro dell’assurdo”.

Una forma di teatro cui aderirono autori quali Arthur Adamov e Samuel Beckett e che era sorto nel 1950, all’indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale: suo scopo principale era quello di denunciare il senso di smarrimento e malessere di una società che non riusciva più a ritrovare se stessa. Non è un caso quindi che l’incomunicabilità, la mancanza di accadimenti, il costante contrasto tra parola e azione, il linguaggio che diviene ostacolo anzichè veicolo alla comunicazione dei personaggi siano alcuni fra i tratti caratteristici di questa drammaturgia. Il teatro di Ionesco non sfugge a questa logica presentandosi violento e crudele, in quanto non edulcora la realtà , nè offre concetti o idee nuove: si tratta semplicemente di una trasposizione della condizione e del destino umani. Il teatro ioneschiano è certamente figlio del suo tempo, ossia del Novecento: le sue strutture, così antiteatrali e anticonvenzionali, sono infatti facilmente collegabili con le esperienze artistiche del Dada e del Surrealismo con un gusto spiccato per la provocazione beffarda e polemica. Collegamento che deve esser stato pensato anche dallo scenografo (Paolo Larici) della nuova trasposizione teatrale de La Lezione (dal 26 al 29 novembre al Teatro Libero di Milano) visto che in scena aleggia un’atmosfera surreale con cielo e nuvole dipinte oltre i vetri in puro stile Magritte.

La trama è semplice quanto dai risvolti imprevedibili: un professore (inizialmente) timido (interpretato magistralmente da Paolo Graziosi) riceve in casa, per delle ripetizioni private, un’allieva ignorante (Elisabetta Arosio) alle prese con le prove di ammissione al dottorato totale. Ma in casa il professore non è solo, c’è anche la fida domestica Maria (o domestico? Visto che ad interpretarla è il bravo e simpatico Rino Marino, il dubbio è più che lecito!), che non tarderà ad intromettersi tra i due per scongiurare il tragico epilogo finale. I tre personaggi in scena danno così vita ad una lezione paradossale che spazia dall’aritmetica alla filologia, nonostante la fida Maria, novella Cassandra, ricordi al professore che “la filologia porta sempre al peggio“. La vicenda scorre inesorabile, giocando tutte le carte dell’assurdo e del paradosso. L’allieva, ad esempio, si dimostra bravissima nell’addizionare e nel moltiplicare, ma completamente incapace nel sottrarre, nonostante le spiegazioni sempre più precise ed elementari del professore. Ma il dialogo tra allieva e maestro va oltre l’aritmetica, giungendo alla tanto temuta filologia, in un crescendo “didattico” in cui pian piano sale anche la tensione erotica e l’aggressività del timido professore, che al passare dei minuti diventa sempre più folle e violento.
In un progressivo delirio di parole, il professore è attratto, irritato e poi disgustato dalla ragazza che vuole dominare col suo sapere, mentre la poverina accusa un mal di denti sempre più forte, somatizzando così progressivamente la sua fine. La narrazione prosegue incessante raggiungendo il suo acme con la comparsa dall’alto di un affilatissimo coltello che segnerà la fine della malcapitata allieva, coltello che rappresenta la materializzazione della parola finora usata con maestria dal professore e che per Ionesco, in bocca a certi borghesi, è capace anche di uccidere tra l’indifferenza generale. Infatti, una volta eliminata l’allieva, si scopre che quella è la quarantesima vittima della follia del professore, il cui cadavere sarà fatto scomparire, al pari dei trentanove precedenti, grazie alla collaborazione di un prete amante della domestica: il ciclo quindi è destinato a continuare.

La Lezione si palesa come una piece circolare: l’ultima scena, infatti, ripropone la medesima situazione della prima, con il metronomo che torna a ticchettare e una nuova allieva che torna a suonare alla porta del professore, innescando così un meccanismo destinato a proseguire all’infinito.
Lo spettacolo, di cui Paolo Graziosi cura anche la regia, appare quindi fedele allo spirito e alla denominazione dello stesso Ionesco, che la definisce come un “dramma comico”, appellativo che ben descrive le numerose contraddizioni di cui è costituita quest’opera, in quanto non solo vi è un continuo alternarsi di situazioni comiche e drammatiche, ma gli stessi personaggi si trasformano e trasfigurano lentamente e inesorabilmente di fronte gli occhi dello spettatore: tutti aspetti messi perfettamente in scena e facilmente riscontrabili osservando il pubblico in sala che alterna momenti iniziali di riso a momenti di paura nei concitati momenti finali.

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