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Due parole con Sarah Biacchi

Incontro Sarah a Parma, la sua città, in un bel bar all’aperto vicino al Duomo. Ci sediamo e, bevendo e mangiando cornetti proprio come piace a me, parliamo per due ore buone.
Sarah Biacchi si è diplomata in canto lirico nel 2003 presso il conservatorio di Parma dopo aver ottenuto, nel 2002, il diploma quale Attrice di Prosa presso la Scuola di Teatro di Bologna diretta da Alessandra Galante Garrone. Si è anche laureata in Lettere Moderne all’Università di Parma, Dipartimento dello Spettacolo.

Ha alle spalle un’importante attività di prosa tra cui spicca, tra l’altro, il ruolo di Giulietta in “Romeo & Juliet” di W. Shakespeare diretto da Gabriele Vacis, portato in scena tra il 2005 e il 2006, e il ruolo di Mirandolina ne “La Locandiera” di L. Goldoni, con la regia di Jurij Ferrini, portato in scena dal 2005 al 2007.

Sarah, chi sei?
Non si fa mai questa domanda ad un’attrice. Non sai mai cosa rispondere. Direi che sono una persona con tanti sogni. Alcuni sono diventati realtà, altri no. Sono una ragazza molto semplice che fa il suo lavoro con amore. E poi sono una donna che cerca di conciliare lavoro e famiglia, come tutti.

Il teatro, il canto e il conservatorio, una laurea in lettere. Una preparazione ad ampio spettro su più facce dell’arte. Che cosa ti ha portato a tutto questo?
Sinceramente io suono da sempre e il pianoforte è stato il primo amore. Quando ci obbligarono a fare canto corale, in Conservatorio, l’insegnante mi volle sentire da sola. Un vocione. Feci l’esame per entrare a Canto lirico e mi presero subito. Nonostante io sia una ragioniera mi piaceva tanto l’italiano… E da lì Lettere. Dove scelsi Storia del Teatro. Ma capii molto presto che non mi bastava leggere per capire veramente quel mondo, così mi ritrovai a fare un seminario dove si entrava in scena sul serio. Dopo due mesi ero già in giro per L’Europa con la Tempesta di Shakespeare. Il mio debutto si portò dietro tante cose meravigliose, ma anche tante perdite. Dovetti rinunciare a cose molto importanti. E da lì capii subito che l’arte non era e non sarebbe mai stata una cosa gratuita. Il palco ti ama e ti odia. Devi essere pronta a tutto e dimenticare te stessa se vuoi far divertire ed emozionare gli altri. Alla fine bisogna essere molto poco protagonisti per fare gli attori.

Ci racconti il tuo debutto sul palco del teatro?
Ero proprio a Parma, in questo seminario spettacolo. La cosa più divertente è che io ho debuttato recitando la parte di un uomo. Era Pirandello, la sua prima pièce (“La morsa”). Non fu un debutto solo in Teatro. Io credo che fu un debutto alla vita. Comunque non dimenticherò mai l’emozione del mio primo monologo. Ricordo la mia voce che diventava di colpo più scura, si impostava naturalmente con l’aria. È stato un senso di realtà condensata, intensificata. Ricordo che fu come incontrare una persona che non avevi mai visto ma che sapevi perfettamente di conoscere. Ancora oggi quando metto un piede sul palcoscenico penso: “Ok. Sei a casa“.

Domanda standard: che cosa consigli ad un giovane che voglia intraprendere la via del teatro? E che cosa si deve aspettare da questo percorso?
Sinceramente non so come risponderti… Da anni seleziono “nuove leve” e vedo tantissima approssimazione. Io dico sempre che non è un lavoro, è un viaggio dentro se stessi. Ci vuole impegno, forza, dedizione. Grande capacità di resistere alle delusioni. E poi bisogna amare tanto il pubblico. E ancora di più le parole che stai dicendo e l’autore che le ha scritte. Io penso che sarebbe sempre opportuno fare i provini per entrare nelle sei scuole di teatro più importanti d’Italia. Farli, non passarli, rifarli, studiare. E poi bisogna essere preparati al fatto che oggi come oggi persone con minor talento di te possano tranquillamente ottenere senza fatica quello che con sudore e passione stai cercando di inseguire. Ma io dico sempre ai miei ragazzi di non preoccuparsi. Il teatro non sono i cento metri. Il teatro è una maratona. È sul lungo periodo che si vede veramente se un attore è un grande attore.

In un attore quanto di talento, quanto di preparazione e studio, quanto di vita vissuta?
Per quanto uno possa essere talentuoso, lo studio è necessario. E’ dannoso per il teatro e per l’attore recitare senza preparazione. Se non sai cosa fai, all’inizio può sembrarti tutto un grande luna park, ma presto le critiche e le recensioni ti insegnano che forse non stavano aspettando tutti te, come puoi pensare all’inizio… E ti parlo per esperienza. Io, nonostante il mio studio, credevo sinceramente di essere “nata imparata”. Beh, quello che non ti insegna la Scuola te lo insegna la vita. E, soprattutto, grande errore è lasciare che il personale salga sul palco. Se vuoi fare l’attore per fare vedere a mamma e papà quanto sei speciale hai sbagliato strada. L’attore è un mestiere di equilibrio, sempre sull’orlo tra la tecnica e il lasciarsi andare. Bisogna “esserci” sul palco. E, se stai pensando a te stessa, non ci sei.

Quanto conta una solida formazione teatrale per chi desidera lavorare nel cinema? Consiglieresti di iniziare comunque dal teatro per arrivare al cinema?
Questa è, onestamente, una vecchia diatriba. Io dice sempre che un grande attore è un grande attore. Punto. In Inghilterra e negli Stati Uniti abbiamo un modo di pensare molto più improntato alla qualità. De Niro e Pacino in teatro sono grandiosi. Anthony Hopkins pure. Meryl Streep sfonda Broadway quando vuole. E questo perché l’importante è saper recitare, al cinema come in teatro. Non esistono gli schematismi che i registi italiani ti obbligano a fare. Chi recita in ciabatte come al cinema, in teatro non si sente. Chi tromboneggia in teatro, al cinema diventa una macchietta. Per fortuna oggi abbiamo eccezioni come Toni Servillo, che dove si muove ci regala oro puro. Quindi il fatto di fare teatro o cinema, è assolutamente indipendente dal fatto di scegliere o meno se fare una scuola di teatro. La scuola va fatta, punto. Non ti insegnano a fare cinema o teatro. Ti insegnano a recitare.

Due anni fa hai interpretato un “Romeo e Giulietta” molto particolare, diretta da Gabriele Vacis. Ci racconti quell’esperienza?
Qui vorrei spendere due parole. È stato… unico. Nel senso che durante “Romeo e Giulietta” io ho vissuto l’infinito (queste sono parole del maestro Vacis). Mi sono sposata, mi sono fatta male. Mi sono separata. Sono tornata con mio marito. Che, per inciso, interpretava Romeo. Questo è il grande consiglio che lascio a tutte le giovani leve: lasciamo dormire i nostri personaggi nelle loro tombe. Se si svegliano, sono veramente problemi. Io ho sfidato il fato, interpretando Giulietta con l’uomo che avrei sposato di lì a poco. Mi sento di dirlo. Recitate, ragazzi. Recitate. Fate FINTA. Non confondete mai la vita col teatro. Anche se sono arrivata in finale al premio UBU, con Giulietta, sento che non lo rifarei. Mai sfidare gli Dei. Studiate il teatro greco. Un bacio, e buona fortuna a tutti.

autore@devisbellucci.it

di Devis Bellucci

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