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Il_7 sui Jethro Tull

[MUSICA]

A pochi giorni dal concerto dei reclamizzatissimi, giovani e freschi Tokio Hotel, il voluminoso mito dei Jethro Tull dirà la sua il 30 giugno 2008 allo Stadio della Pallacorda, dispiegando tutte le sue

sonorità vecchio stile, ma anche i suoi arrangiamenti più aggiornati in una serata che si annuncia rigorosamente Old British.

I loro esordi nell’ultimo scorcio degli anni ‘60 erano sicuramente blues, ma in linea con lo spirito di quel periodo il loro profilo si ispessì in una serie di contaminazioni successive, da quella con il jazz al recupero di certe tradizioni folk, al tuffo non sempre convincente nel progressive. Forse non potranno essere considerati pienamente progressive, dunque, ma i Tull si distingueranno sempre per un certo accento bizzarro con cui interpretano il folk- rock.

La simpatia tardo-romantica con cui, nel mitico Aqualung, Jan Anderson, il carismatico leader cantante e flautista, che ancora oggi non rinuncia ad abbozzare nei live le sue caratteristiche pose da folletto, presta la sua voce ad un vagabondo facendogli pronunciare ruvide considerazioni sui guasti della religione organizzata, impone soprattutto quel disco come un pezzo di storia che resta memorabile per i fans di vecchia data, ma la loro carriera ormai quarantennale è gravida di meda-glie e di gemme discografiche dai toni epici, elegiaci e misteriosi.

Citiamo per brevità Stand Up, Benefit, Thick as a Brick, Songs from The Wood, Living in the Past, tra gli album dei favolosi seventies, e Stormwatch, Rock Island, Crest of a Knave, Roots to Branches, Dot Com tra i capitoli più recenti di una saga musicale che a differenza di altre storie di lunga militanza rock, non ha dovuto registrare lunghi e gravi appannamenti, forti di una formula creativa particolarmente compatta ed efficace, che garantisce sofisticazione e sicuro impatto, effervescenze solistiche e orecchiabilità. Abituati ai vecchi fantasmi e a eremitaggi nella brughiera e scorribande nella City, ingobbiti attraverso le pieghe di ere oscure del passato e insorgenze apocalittiche del presente (North Sea Oil), e alla “fredda Madre dei Ghiacci le cui lunghe dita si stendono cercando di agguantare i fagotti sulle calde soglie degli usci d’una Londra imbiancata”.

In caso di afa africana, sarebbe divertente se il tenente metereologo RAI Guido Caroselli si presentasse a loro sul palco ubriaco di birra, con la barba lunga il triplo e intrisa di nevischio e vestito con un lungo pastrano scozzese, cantando: “O luce del sole, portami via di qui, sono un ago nel solco di una spirale, ed il piatto del giradischi gira, l’ultimo Valzer inizia e l’uomo delle previsioni del tempo dice che lassù qualcosa si sta muovendo…” (Something’s on the move). Una pioggia rinfrescante chissà che non cada giù in tal caso, riportandoci alle atmosfere delle terre lontane in cui le luci del Nord esplodono improvvise in cieli lividi per raccogliere momenti regali sui sentieri ghiacciati. Sarebbe meglio di un gavettone alla romana!?

Questi i Jethro Tull 2008: Ian Anderson al flauto, voce e chitarra acustica, il fido Martin Barre alle chitarre (che negli anni ’70 non di rado erano scientemente “grasse”), il solido Doane Perry alla batteria, il nuovo John O’Hara alle tastiere e David Goodier al basso. “Too old to Rock’n’Roll, Too Young to Die”.

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