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L’Ultima Cena Reloaded

[ARTI VISIVE]

MILANO – L’Ultima Cena, il celebre dipinto di Leonardo Da Vinci, sta indubbiamente vivendo una seconda giovinezza complice anche il successo mondiale del best-seller di Dan Brown e del connesso film diretto da Ron Howard. Non è un caso dunque che la spettacolare installazione ideata dal regista scozzese Peter Greenaway, e che vede l’opera vinciana protagonista, sia uno degli eventi di punta del Salone Internazionale del Mobile 2008.

Come molti sapranno, il dipinto fu realizzato tra il 1494 e il 1498 da Leonardo da Vinci su una parete del refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie di Milano con una tecnica innovativa, che parve la migliore possibile per ottenere la resa degli effetti luministici e chiaroscurali cercati. Purtroppo tale scelta ha reso l’opera estremamente fragile anche a causa dell’ umidità e della funzione della sala in cui era collocata: un refettorio non era certo l’ambiente ideale per la conservazione di una simile opera.

A tutto ciò vanno aggiunte una serie di vicissitudini storiche che hanno messo a dura prova il già fragile Cenacolo, ossia la costruzione di una porta al centro del dipinto, la conversione del refettorio a stalle e fienile ed il bombardamento del 1943.
Tale fragilità ha reso necessari molteplici restauri, l’ultimo dei quali si è protratto dal 1978 al 1999, davvero un arduo lavoro a causa degli strati di colore, colle e materiali aggiunti nel corso dei secoli per tentare di restaurare l’opera, motivo per cui la Soprintendenza ha negato l’autorizzazione ad allestire il gioco di luci di Peter Greenway in quel di Santa Maria delle Grazie: niet che ha innescato una serie di polemiche e che ha reso necessario l’utilizzo di una copia, realizzata dall’artista Adam Lowe in collaborazione con il team Change Performing Arts, invece del dipinto originale.
Ma rendiamo merito al lavoro dell’artista Peter Greenway che dal 2005 ha avviato l’ambizioso progetto di far dialogare cinema e pittura utilizzando i più famosi dipinti europei ed americani: il primo di questi fu la Ronda di Notte di Rembrandt; a Milano invece ha tentato l’ esperimento con il Cenacolo, esperimento che ritenterà a breve anche con la Guernica di Picasso.

Andando nel dettaglio, si può dire, senza esagerare, che grazie al regista scozzese e alle sue luci, l’ Ultima Cena di Leonardo prende vita sul serio. La copia del Cenacolo utilizzata per l’installazione è stata ricreata e allestita nella Sala delle Cariatidi a Palazzo Reale, in una suggestiva cornice di muri scrostati e contornati da 40 Cariatidi, a cui la sala deve il nome. Al centro, una lunga e bianca tavola apparecchiata che riproduce quel che resta dell’ultima cena: piatti, bicchieri rovesciati e il pane spezzato da Gesù. La scena è ingessata, di un bianco innaturale. A fare da contraltare alla copia dell’Ultima Cena, uno schermo incorniciato da una volta a botte, su cui scorrono le riprese e le elaborazioni digitali delle opere di Leonardo: la telecamera zoomma talmente tanto da penetrare nella materia pittorica fino a polverizzarla e a proiettare lo spettatore incredulo al suo interno. Questa “autopsia” dei quadri accompagna, quasi distraendo, la vera e propria performance che si svolge dall’altra parte della sala.

E’ proprio al lato opposto, infatti, che l’Ultima Cena si anima grazie alle proiezioni luminose curate dallo storico direttore della fotografia di Greenaway, Reinier van Brummelen. I giochi di luce fanno emergere dalla superficie le tredici figure riprodotte nell’opera, ne ritagliano i contorni, creando l’illusione del movimento e della terza dimensione e proiettando sulla parete una sorta di filmato dell’ultimo pasto di Cristo. L’accompagnamento musicale, amplificato dalle volte della stanza, contribuisce inoltre a creare un’atmosfera solenne. Il movimento della luce che filtra dalle finestre e dal soffitto a grate, oltre a esasperare la dimensione emotiva, costituisce il motivo conduttore della narrazione audio-visiva. Il tutto genera nello spettatore la sensazione di trovarsi nella sala di un cinema dove stanno proiettando un film in cui Pietro parla nell’orecchio di Giovanni, Giuda si ritrae stringendo la borsa con i soldi facendo cadere inavvertitamente la saliera, mentre tutti gli altri apostoli discutono in modo concitato tra loro sulla possibile identità del traditore profetizzato da Gesù. Verso la fine dell’ esibizione (della durata di 20 minuti) la tovaglia si tinge di rosso, “insanguinando” la tavola, ripulita però quasi immediatamente da un fascio luminoso che entra dalla finestra. Poi il buio. E quindi, di nuovo la luce, che torna a sprigionarsi dal costato del Cristo, radioso protagonista dell’Ultima Cena.

In pratica Peter Greenway, artista moderno e hi-tech per le tecnologie adoperate, usa la luce come un pennello, riuscendo a render viva la cena che si svolge nel dipinto. Grazie alla sua arte trasforma un dipinto sbiadito dal tempo e dagli eventi, in una realtà in movimento, all’interno della quale l’osservatore si ritrova sorprendentemente proiettato.
Ovviamente è arduo spiegare uno spettacolo del genere a parole, in quanto la performance allestita da Greenway è una perfetta fusione di pittura, cinema e musica, fusione che riesce a regalare allo spettatore un’ emozione sbalorditiva e al tempo stesso, per gli eventi che si stanno osservando, commovente.
E a noi piace pensare che lo stesso Leonardo, curioso com’era di ogni sperimentazione e novità, sarebbe rimasto compiaciuto da un simile spettacolo.

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