Skip to main content

FotoGrafia Festival: il Circuito (II parte)

[ARTI VISIVE]

Il Circuito è una sezione del FotoGrafia – Festival che permette agli ospiti distratti nei luoghi di incontro di Roma di sottrarsi all’impaziente corsa cittadina.
Bianco e nero con percorso mentalmente e fisicamente notevole. Seguendo il filo conduttore del bicolore, si è attraversata la città e nel contempo si è potuto visitare il Tibet precipitandosi, subito dopo, in Ruanda e ritrovare, infine, volti familiari di una terra vicina ma che ancora riesce e vuole mantenere la sua distanza: la Sardegna. 

Ne La terra del cielo. Comunità tibetane in Sichuan, Cina. I quindici scatti di Simone Carolei sono schizzi immediati e precisi che ci aprono le tende dei villaggi di Litang, al confine con la regione del Tibet e di Langmusi, antica tappa sulla via della seta. Sulle pareti del locale Vi(ci)no, via del Pigneto, si è avuto modo di vedere l’aria rarefatta che il fotografo calabrese ha respirato per circa due mesi in quei luoghi che toccano il cielo.
L’immagine è tattile forse perché è unica, forse perché la tecnica narrativa a cui siamo abituati è elaborata e stupefacente mentre qui è semplicemente descrizione. Si percepisce l’azzurro del cielo incombente, il verde delle praterie e l’amaranto delle tuniche che vestono anche i bambini già monaci; pur non trovandosi di fronte alla policromia. Come si riescono a sentire gli odori delle spezie salire dai forni votivi che cibano il ricordo dei morti e ci si incanta dal voltare ciclico delle ruote di preghiera. In questi scatti c’è la vita di poche migliaia di persone che fanno della sacralità il loro quotidiano e della preghiera il momento di aggregazione e di incontro. I segni di una spiritualità isolata e contrastata in questi giorni drammatici per il Tibet intero sono lievemente spiegati da un rosario stretto in una mano o dalle migliaia di bigliettini che raccolgono preghiere che prima troviamo sui muri delle abitazioni e poi lungo le strade. Recitate e poi consegnate all’aria come tutta l’esistenza di quei volti che le due Nikon, compagne fedeli di Carolei, consegnano alla nostra “meditazione”.

Il Ruanda senza lenti e senza filtro occidentale è nelle foto raccolte da Andrea Beer. La luce ritorna il solo strumento. Rinchiusa in una involucro e privata di ogni illusione e distorsione. La libreria Griot, via di Santa Cecilia, raccoglie non lo sguardo del fotografo ma il suo lavoro. Beer insegna ad osservare e questo è il risultato del suo impegno a Kigali, una delle città più popolose del Ruanda. Il mondo in una scatoletta è una raccolta di foto realizzate da giovani ragazzi del posto con apparecchiature realizzate in loco. Beer impiega la base della fotografia, la tecnica stenopeica, e insegna non a fotografare senza lenti ma ad utilizzare la capacità di osservazione.

Tra le parole scritte degli scaffali Beer mostra, a chi guarda queste foto, come la perfezione del racconto non sia necessaria quando è storia vera. L’impegno umanitario, oltre che artistico del giovane fotografo, ha portato alla realizzazione non solo di queste immagini ma degli stessi apparecchi fotografici. Il risultato della privazione di tutto quello che è la nostra contemporaneità è la narrazione di quello che è l’oggi in un’altra parte del mondo.

Unico sguardo femminile è quello della giovane fotografa Sveva Taverna. Il ricordo nei volti della femminilità sarda è il tema di Radici. La memoria è la chiave di lettura per raggiungere i passi, i movimenti e le consuetudini di un mondo che è il “rimorso”, come lo avrebbe definito Ernesto De Martino.
I volti e i movimenti appesi alle pareti della libreria Arion in via Veneto, rivelano sguardi primitivi segnati da un’altra storia che è nostra ma che pare non appartenerci più tanto ed è lontana dal nostro percorso giornaliero. L’atteggiamento è morbido e contrasta con i volti che sono spigolosi e incavati. Sveva Taverna ha la sensibilità personale e culturale per spiegare altre donne che sono la sua personale storia. La rispondenza di questa disponibilità all’introspezione personale e culturale sono ben spiegate dalle braccia stanche su un divano o dai gatti che paiono nascondere i segreti di quelle figure strane che erano e sono le donne.

I tre fotografi hanno attraversato distanze anche enormi e hanno ridotto il percorso con reportage chiarificatori che semplificano al nostro sguardo ciò che non ci rappresenta ma che, però, ci coinvolge. L’umanità che si perde nella storia o che si stringe in un contesto minuto riesce ancora a raccontare le sfaccettature diamantine che caratterizzano il genere umano. La quotidianità, tema di tutto il festival fotografico, non è solo il nostro percorso casa-lavoro lavoro-casa è altro. È il momento in cui guardiamo il tracciato e osserviamo i segni che lasciano gli altri. Il bianco e il nero di questi fotografi chiarificano un concetto e non esasperano le distanze. Perché diventano stigmate sempre più nette per la storia che vi rappresentano grazie ai tratti e alla tecnologia usata.
(www.fotografiafestival.it/circuito)

FotoGrafia Festival Internazionale di Roma presenta: il Circuito (II parte) fotografia, martelive, martemagazine, SecondoPiano

Lascia un commento