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L’inno alla libertà  della musica futurista

[MUSICA]

I più risoluti affermano che senza la musica futurista e senza il fantasioso contributo del cosiddetto “rumorismo” non avremmo mai visto nascere generi come l’industrial, il noise, l’ambient e derivazioni complesse come la dodecafonia e la musica concreta di Cage. Forse Lou Reed non avrebbe mai sbeffeggiato il pubblico con il doppio disco “Metal Music Machine”, opera costruita su uno scheletro di rumore assordante, ronzii di amplificatore e stridore elettrico.  Forse Stockhausen non avrebbe mai abbattuto i confini delle sette note, distruggendo gli ultimi resti delle regole armoniche, melodiche, ritmiche e tonali che reggono la musica. 

E probabilmente Brian Eno non sarebbe mai arrivato alla formulazione del concetto di musica generativa, un sistema musicale totalmente affidato al caso, privo di parallelismi e ripetizioni, con tempi di esecuzione potenzialmente infiniti.

Molti anni prima del debutto dei Kraftwerk, che portarono in scena pezzi carichi di rumori assordanti come “Electro cardiogram” o “Pocket Calculator”, alcuni artisti stanchi degli insegnamenti accademici dei conservatori teorizzarono un nuovo modo di intendere la musica, un grido di ribellione contro la “limitazione dello studio ad un vano acrobatismo che si dibatte nella perpetua agonia di una cultura arretrata e già morta”. Nell’intento di rinnovare radicalmente il linguaggio musicale artisti stravaganti come Francesco Pratella e Luigi Russolo affermarono la supremazia del rumore puro, quello disordinato della vita quotidiana e della modernità industriale, contro la perfezione simmetrica della composizione armonica, decisamente poco adatta ad esprimere gli improvvisi cambiamenti sociali del primo decennio del Novecento. È interessante ricordare che anche la scrittura della musica venne modificata per rappresentare al meglio il nuovo linguaggio per cui, anziché utilizzare le note tradizionali sul pentagramma, venne ideato un sistema a righe continue, che alzandosi ed abbassandosi rappresentavano l’emissione del rumore.

Per riprodurre i rumori delle strade, delle fabbriche, dei mezzi di trasporto, i musicisti futuristi inventarono degli appositi strumenti: l’”intonarumori”, apparecchio che in una sorta di delirio onomatopeico simulava sibili, ronzii, stropiccii e gorgoglii, e il “rumorarmonio”, che serviva ad amplificare gli effetti musicali creati dall’intonarumori. Inutile dire che le performance di questi coraggiosi sperimentatori erano accompagnati puntualmente da risse con il pubblico, sedate alla fine dall’intervento della polizia. Un pò come successe al Bob Dylan della celebre “svolta”, che si presentò al Newport Folk Festival imbracciando una chitarra elettrica e accompagnato da un gruppo rock, i primi musicisti futuristi non furono capiti, vennero fischiati e insultati, considerati come semplici provocatori esaltati, privi di un reale talento artistico.

Se pensiamo a quello che è la musica elettronica o techno di oggi, e a tutti i figli dei distorsori e dei campionatori, capiamo che i futuristi erano probabilmente degli artisti straordinariamente attuali, votati alla dissacrazione e al progresso, ma inseriti in un’epoca che non ne poteva comprendere, e quindi accettare, le intuizioni geniali.

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