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Il carnevale di Mamoiada: dove l’uomo diventa bestia.

[ATTUALITA’]

Qualcuno ricorderà ancora la performance di Vinicio Capossela sul grande palco del Pincio, in occasione della Notte Bianca di Roma di un paio d’anni fa. E molti ripenseranno con una certa inquietudine al costume che indossava l’artista, scuro, animalesco e quasi demoniaco: una maschera di legno nero, pesanti campanacci e pelli grezze a coprire le spalle.

Capossela era vestito da Mamuthone, maschera di origine sarda le cui origini si perdono nella notte dei tempi, tra riti totemici, credenze popolari e danze propiziatorie. Il personaggio che rappresenta e incarna lo spirito di uno dei carnevali più sentiti al mondo, segno di festosità, allegria e tempi fertili.

Il rito si presta a molteplici interpretazioni ed è impresa ardua risalire al significato originario. L’ipotesi più diffusa e condivisa è quella che vede nello spettacolo danzante dei Mamuthones gli ultimi frammenti di un’antica cerimonia che in tempi lontani si svolgeva in onore del Dio Dioniso per propiziare la pioggia: il Mamuthone era la personificazione dello Zeus Pluviale, divinità del mondo sotterraneo che ogni anno moriva per rinascere a primavera insieme alla vegetazione dei campi. Non mancano poi le interpretazioni propriamente pastorali e agresti, che narrano di un rito totemico di assoggettamento al bue, in cui l’uomo si fa bestia, si trasforma in Minotauro, uomo imbovato. Infine, c’è anche chi attribuisce alla danza significati demoniaci e funzioni esorcizzanti.

In Barbagia, cuore pulsante della cultura folkloristica sarda, molti affermano con convinzione che senza Mamuthones non c’è Carnevale. E in effetti il rito barbaricino è talmente solenne, misterioso e grottesco che è praticamente impossibile non rimanerne affascinati e spaventati allo stesso tempo. Una sorta di attrazione-repulsione, che riempie di significati ancestrali l’apparizione di questi strani personaggi.

Lo stesso Capossela dichiara di essere rimasto stregato da queste maschere, stabilendo con esse una sorta di legame spirituale pervaso da significati primordiali (dormì per qualche notte di seguito con la maschera nera accanto al cuscino). Il suo amore per la Sardegna e per le sue tradizioni folkloristiche l’ha portato addirittura a ottenere la cittadinanza onoraria in un paese della Barbagia profonda, Ottana, e a diventarne in qualche modo ambasciatore nel mondo. Ma non solo: oltre ad aver scelto la maschera dei Mamuthones come costume di scena, per registrare il brano “Brucia Troia” ha utilizzato come insolita sala d’incisione una grotta carsica di 110 metri, la più profonda d’Europa, sulle montagne di Dorgali in Sardegna. La nostra storia è lì – ha affermato l’artista – stratificata, pietra su pietra, e per sentirla bisogna toccarla, viverla, trivellare con l’immaginazione, scoprirne nel fondo le nostre origini.

Il rituale dei Mamuthones, che secondo la tradizione fanno la loro prima apparizione il 17 gennaio di ogni anno in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, conserva ancora un fascino antico e misterioso, rafforzato dalla serietà e dalla forza delle nere maschere lignee, nel suono e nel ritmo della danza, cadenzata ma silenziosa, e dei campanacci.

Uno spettacolo davvero inusuale, dove la tradizione sopravvive forte e incontaminata, dove l’uomo si unisce alla terra e alla natura, dove il tempo sembra fermarsi e con esso l’azione corrosiva dello spirito della modernità. Come ha scritto un noto scrittore e giornalista, Salvatore Cambosu, in “Miele Amaro”, se vuoi un carnevale che non ce n’è un altro sulla terra vattene a Mamoiada, vedrai l’armento con maschere di legno, l’armento muto e prigioniero, i vecchi vinti, i giovani vincitori: un carnevale triste, un carnevale delle ceneri, storia e misura di ogni giorno, gioia condita con un po’ di fiele e aceto, miele amaro.

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