Thrangh_ Erzefilisch
CD MUSICA- Chiamateli pure improvvisatori, ossessivi stregoni dell’inconscio, fabbricanti di incubi sonori, insistenti psicologi dagli impulsi distruttivi. I Thrangh, con una veloce e inaspettata “sprangata” dietro il collo (da qui il nome onomatopeico del gruppo), a partire dall’album Erzefilisch (Altipiani/Goodfellas 2007) danno il via ad un’incalzante improvvisazione collettiva, basata per un verso su una drammatica rivisitazione della psicologia freudiana, per l’altro su un libero e sano intento creativo.
Ispirati dal lavoro di Zappa, Zorn e, nell’ambito della cosiddetta “scena romana” dagli Zu, i Thrangh toccano in questo disco il livello più alto del continuo divenire, dell’improvvisazione incontrollata e della sperimentazione sonora estrema. Il tutto nasce infatti da una straordinaria rielaborazione di numerose e sregolate sessioni improvvisate su una base sempre presente, composta da chitarra, basso, batteria e sax, attualizzata e resa inconsueta e dall’utilizzo di strumenti etnici, violini e guitar synth e di arnesi non convenzionali, che si scontrano violentemente con l’insieme.
“Erzefilisch”, più che un insieme di brani, sembrerebbe più un ipercorpo testuale unico, un viaggio ininterrotto attraverso un paesaggio onirico e delirante, rappresentato appieno anche dall’artwork del cd (opera di Marco Bevino, un giovane pittore romano) che fotografa interamente l’atmosfera patologica e morbosa presente nella successione dei brani. Il tutto vuole rispecchiare le abituali performance live del gruppo, durante le quali i brani si susseguono uno dopo l’altro senza interruzioni, con una struttura esclusivamente strumentale.
Un senso di disagio e di rifiuto delle regole percorre nervosamente l’album, che sembra volersi liberare dai recinti sociali e dalle consuetudini per ricercare una dimensione “altra” e per certi versi trasgressiva. Le tracce urlano, scalpitano si contorcono su linee jazz fortemente sconvolte da ibridazioni e incroci con altri generi, così da stravolgere il concetto stesso di jazz, già di per sé difficile da imbrigliare. Anche se loro stessi parlano di “pulp music”, in realtà è molto difficile racchiudere il disco all’interno di categorie precostituite: da evidenziare sicuramente la grande varietà stilistica e l’anomalo approccio alla composizione musicale, che si allontana il più possibile da forme compiute o quantomeno regolari per sfociare più volte in derivazioni cacofoniche. Noir, senza ombra di dubbio.
Alcune tracce sono prive di titolo, per un manifesto impegno eclettico e originale, mentre le altre si presentano con nomenclature che sfiorano l’esoterico e l’incomprensibilità di linguaggi remoti e infantili (vedi “Asa Nisi Masa” o “Agghlartagh”).
Impossibile da decodificare, impensabile trovare una figura retorica di fondo. Assumere una posizione, scrivere bello o brutto andrebbe a sminuire la complessità dell’insieme: semplicemente irriverente, forte nelle strutture e deciso negli intenti. Colpisce, raschiando le profondità dell’anima.
E in fin dei conti se lo può permettere.
Tracklist
1. Sagapa
2. Cobra verde
3. –
4. Asa nisi masa
5. Erzefilisch
6. –
7. Camadogi
8. –
9. Agghlartagh
10. –
11. Menelicche
12. –
I Thrangh sono:
Tommaso Moretti: batteria
Fabrizio Coltelli: chitarra
Gabriele Mengoli: sax
Alessandro Bonanni: basso