“E adesso ascoltateci tutti”. Intervista agli Afterhours
Dopo tre anni gli Afterhours tornano con un nuovo disco, il più maturo e geniale della loro carriera. Giorgio Prette ci racconta perché i milanesi ammazzano il sabato.
C’era una musica bellissima, che una grande banda cambiò. Tra favole distorte e ironici sospiri rauchi, gli afterhours hanno capito che niente è per sempre tranne la genialità. Loro non hanno mai avuto del buio, annaspando tra quello che non c’è hanno trovato i germi per far fiorire una grande ballata per piccole iene ma, alla fine, si ritorna sempre nei luoghi in cui si è nati.
Ed ecco il pop, che uccide l’anima, si miscela alla perfezione con il rock. Ad oggi gli afterhours sono la più grande rock band italiana, che ha fatto esplodere il vero sound contemporaneo. L’indipendenza, così come la libertà, regala sempre i propri frutti.
Cosa rappresenta questo ottavo album dopo vent’anni di carriera?
Questo disco può sintetizzare tutto tranne un percorso così lungo, la cosa più entusiasmante e gratificante è quella di scoprire di avere sempre lo stesso stimolo e riuscire a stupire noi stessi di quello che facciamo, che è la nostra priorità assoluta, altrimenti non riusciremo a fare quello che per noi rappresenta il significato più importante. È il primo lavoro fatto con nuovi componenti come Enrico Gabrielli a Roberto Dellera, e questo è un fatto determinante per la band sia dal punto di vista delle attitudini che da quello sonoro, con idee che sono emerse in modo molto spontaneo e con leggerezza senza tanti pensieri. È molto diverso rispetto agli ultimi due album degli afterhours sotto tutti i punti di vista: conformazione, canzoni, sound, un’evoluzione a 360 gradi. Direi che ha una potenza comunicativa molto eterogenea.
Il titolo dell’album prende spunto da una libera interpretazione di un libro di Scerbanenco, anche se non condivide nulla con il reale significato del disco…
L’ispirazione del titolo è nata quasi per caso infatti non vi è alcun legame con il libro di Scerbanenco se non il titolo e, nonostante tutto, il nostro lavoro non parla di Milano o dei milanesi tranne in un paio di brani, ma questo penso sia normale in quanto essendo nati e cresciuti a Milano non poteva non emergere il nostro ambiente, che poi rappresenta la nostra quotidianità.
Ma in che modo i Milanesi ammazzano il sabato?
Bisogna cambiare l’argomentazione da “al” a “il” (I milanesi ammazzano al sabato è il titolo originale del libro di Scerbanenco ndr), in altre parole spostare l’aspetto temporale originario del titolo di Scerbanenco. Il nostro titolo vuole descrivere questa città che vive in modo molto nervoso, frenetico e, il fine settimana quando trova un po’ di pausa commette un omicidio verso la riflessione, verso la calma, contro la vita reale.
Quindi ammazza la serenità anche grazie ai famosi paradisi artificiali?
Soprattutto grazie ai paradisi artificiali. Penso che questo sia molto sintetizzato dalla frase contenuta nel brano “Tema: la mia città”: … “Chi affronterà I maglioncini degli insorti Blog – rhum e coca-ina per battere il sistema”.
Il brano che mi ha colpito di più è Riprendere Berlino, cosa rappresenta?
In realtà Berlino è una metafora, nata da un’idea di Cesare Basile. Il termine intende il riappropiarsi, tramite il rinnovamento, di qualcosa bella accaduta nella tua vita. Si parla di rapporti, di sentimenti…Riprendersi Berlino senza farsi più del male.
Per quanto riguarda l’aspetto musicale, l’insieme dell’album risulta essere schizofrenico, non catalogabile in alcun genere specifico. Ogni canzone è un mondo a se…
Abbiamo sempre cercato di discostarci dalle catalogazioni sui generi, nel senso che ogni brano ha determinate caratteristiche di arrangiamento, struttura testuale, sound. Siamo totalmente estranei a qualsiasi genere. È normale trovare dei riferimenti al grunge o ad altre correnti musicali, ad esempio è quello che è accaduto in “E’ solo febbre” che è nata da un Riff di Manuel e poi si è andato in una direzione totalmente diversa, ad esempio la batteria non è sempre presente, il contrappeso al riff che sottende al brano è un’orchestrazione molto cinematografica, in modo particolare tale relazione con il cinema si avvicina molto ai film di Hitchcock.
Tale ispirazione scaturisce anche dai videoclip i quali fanno parte della strategia promozionale dell’album prima ancora della sua pubblicazione ufficiale, così come i secret shows che avete organizzato in Sicilia e in Veneto o la pubblicazione di un pre-disco allegato al mensile XL. Un piano pubblicitario molto innovativo…
Abbiamo colto l’occasione per manifestare il nostro disappunto riguardo la rigidità delle tradizionali tappe di promozione nel campo discografico. Mi riferisco agli obsoleti single radiofonici, oppure ai videoclip fatti ad hoc per determinati canali musicali. Abbiamo appositamente anticipato l’album, facendo dei videoclip a basso costo ma che ci piacessero indipendentemente dal fatto che andassero o meno in onda sulle televisioni musicali, l’intenzione è quella di fare 14 video con gli stessi soldi che di solito si spendono per farne uno. Una sorta di disco parallelo per immagini, questo è il concetto. Con ciò non vogliamo dimostrare nulla ma solo il fatto che a nostro parere il miglior veicolo promozionale è il passaparola, che è basato sui concerti dal vivo, i quali sono il nostro punto di forza.
In effetti con i festival siete imparentati un bel po’, ma che fine ha fatto il famoso Tora!Tora!?
Il Tora!Tora! per il momento è in frigorifero, in quanto dopo l’ultima edizione che si è svolta nel 2004, Manuel si è reso conto che il motivo per cui era nata una manifestazione del genere non si stava più perseguendo. Mi spiego meglio. Lo scopo del Tora!Tora1 era quello di far arrivare a certi canali informativi il fatto che in Italia esisteva una scena musicale indipendente, molto forte e con un vasto riscontro di pubblico. Questo era l’obiettivo che il festival si prefiggeva, dare visibilità ai nuovi gruppi indipendenti grazie alla fama delle band già affermate che componevano la line-up della manifestazione. Purtroppo negli anni successivi non è avvenuto un certo ricambio generazionale, per cui dopo 4 anni in cui i gruppi headliners erano sempre gli stessi, si è capito che il festival non aveva più senso, si era quasi tramutata in una situazione grottesca. Poi la gente in Italia non va ai festival con la stessa curiosità che vi è in altri paesi, per cui va a vedere soltanto i concerti dei gruppi più conosciuti bistrattando le novità che a volte sono molto più originali rispetto a nomi più blasonati.
Quindi non si avrà mai più un Tora!Tora!?
Non vi è alcuna esclusione a priori, nel momento in cui si riuscisse a trovare una formula innovativa o si ricreassero determinate situazioni penso che potrebbe essere tirato fuori dal frigorifero.
Come imposterete il tour?
Inizieremo con le date di maggio durante le quali presenteremo non tutto il disco nuovo in quanto non ha senso per molteplici aspetti: lo spettacolo deve essere un mix composto da vecchio e nuovo repertorio, anche per creare un certo feeling tra l’artista sul palco e il pubblico. Per noi la vera prospettiva delle sensazioni è quella dell’ascoltatore, il punto di vista dell’artista è sempre autolimitante.