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Alexander Tucker_ Dorwytch

ALEXANDER_TUCKER

ALEXANDER_TUCKERE’ come rotolarsi dentro un plaid tra visioni e spontaneità compositiva, un disco d’altre atmosfere, di quelle che ti passano sopra la testa come nuvole fuggiasche nei pomeriggi Marzaioli, ed un artista che pizzica la sua chitarra con l’eleganza sfumata di un colore pastello.

La londinese Thrill Jockey, dopo essersi accaparrata Pontiak e Barn Owl nella sua scuderia, capta lo psich minimal-folk del cantautore e musicista Alexander Tucker e, affascinata del suo transitare nella contemporary music, decide di metterlo sotto contratto, attenta a non cadere stordita nelle eccezioni più alte della sua poesia dilatata.
In Dortwytch non c’è più quel leggero barocchismo di finger picking che ricamava i suoi precedenti lavori, ma una nuova ampiezza visionaria, che nel suo caldo incedere si lascia trascinare in fecondi campi di pastorali folk intrise di lisergìa offuscata, sempre più implodente, tanto da recuperare le avvolgenze satinate di Steve Reich e Terry Riley; con lui a condividere quest’esperienza volatile Paul May alle percussioni, il polistrumentista  Daniel O’Sullivan, il cantautore Jess Bryant e l’amicone di sempre Duke Garwood e tante radici musicali che riemergono come tesori al sole, ma lontane da nostalgie gratuite e facili conclusioni.


La passione riverberata ed il sussulto che sovrappone l’intera tracklist è un tuffo imperturbabile nella dinamica armonica delle cose belle, di quelle che ti rimangono in dote nello spirito e nella piacevole concretezza della immaterialità dei sogni, quasi un omaggio alla sensibilità dell’espressione di un fiore appena svegliato; stupendo il fiato combattivo di un violino allucinato “His arm has grown long”, “Matter” distillato vocale tra sensazioni Crosbyane e West Coast, la doppietta oscura che perlustra notturni folk solitari e arpeggiati “Hose” e “Gods creature”, il mantrico cerchio che stringe l’identità di un sintetizzatore “Half wast”, fino a raggiungere il culmine dello sballo virtuale, della visione maxima di un territorio psichedelico che va dal blues trasversale “Atomized” regno inviolabile di Doors in sottofondo, l’evacuazione mentale verso altri pianeti “Jamie” e relativo atterraggio in qualche parte di un giardino metafisico “Craters” dove un piano e un gatto che miagola danno il benvenuto e una strizzatina d’occhio a chiunque abbia ficcato la testa e l’orecchio qui dentro.
Registrato che sprizza “energia alternativa” Glastomburyana da tutti i pori, che consacra un modo di vedere la musica come un sali e scendi colorato che farebbe gola a Pentagle e al grande e indimenticabile Martyn; disco che, anche questa volta, come già per lo stupendo “Portal” del 2008, in molti finiranno a rimpiangere al termine dell’ascolto.
In giornate d’ozio volontario si raccomanda di prendere queste canzoni in dosaggi massicci, c’est la vie!

TRACKLIST:
His arm has grown long
Red string
Matter
Hose
Gods creature
Half vast
Pearl relics
Atomized
Skeletor blues
Dark rift/Black road
Sill
Mildew stars
Jamie
Craters
Prismatic

Max Sannella

Alexander Tucker, Dorwytch, martelive, martemagazine, Max Sannella, musica, Recensioni

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