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Pimp My Art e… falla bellissima!

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[ARTI VISIVE]

DSC03760_Ian_Stevenson_-_Oh_fuckSecondo una mia amica di qualche tempo fa che fingeva alterazioni maniacal-erotiche per darsi una patina di artisticità, Pimp my art potrebbe essere la richiesta di chi vuole che la Pimpa metta il suo zampino in espressioni artistiche di incerta natura, per farle a pois rossi.

E invece con questo, che è il titolo della più recente mostra allestita dalla Mondo Pop Gallery col suo consueto “taglio” internazionale (dal 14 maggio al 25 giugno 2011), la simpatica creatura uscita dalla matita di Altan non c’entra, sicuramente perché in quel caso il prefisso Pop, che domina i pezzi in esposizione, avrebbe assunto il valore di Popolaresco lasciandoci tutti con la lingua a penzoloni proprio come la Pimpa! J In realtà l’operazione avviata dalla galleria con questa esposizione è assolutamente innovativa e stimolante, nonché destinata ad ampliare ancora più il suo pubblico: Pimp my art vuol dire infatti “Faccio prostituire il mio pezzo d’arte” e vale ad indicare la possibilità, creata da Mondo Pop, per chi ha un quadro d’arte antica a casa di cui proprio non riesce a tollerare più la vista, di mandarlo a casa di uno degli artisti della scuderia della galleria per essere rivitalizzato da un intervento creativo in chiave pop-surrealista o lowbrow. Un po’ come se il marito di quella mia amica le dicesse: “Mi hai stufato, vai a stare un po’ da quello là, e torna rivalorizzata, con i ricci, i tacchi alti e la liposuzione fatta!” In questa gustosa collettiva alcuni tra gli artisti della Nuova Arte Contemporanea che gravitano nell’orbita di questa galleria da tempo divenuta un polo d’attrazione culturale al centro della Città Eterna, presentano dei nuovi lavori concepiti proprio con questa metodologia, evidentemente un’attualizzazione della ormai storica pratica pop ma anche avanguardista, della rivisitazione di opere d’arte esistenti come anche di oggetti sottratti così al loro uso quotidiano; basti pensare, tanto per restare agli esempi più noti, agli objèe trouvèe e a LHOOQ di Duchamp, alla serie di serigrafie di personaggi famosi con i colori alterati di Warhol, o i Details of Renaissance Paintings dello stesso autore.

Nella mostra in via dei Greci viene proposto un assortimento di “customizzazioni” (come diciamo noi informatizzati coatti del terzo millennio) operate su fotografie, cartoline, quadri da mercatino, stampe vintage di artisti più o meno noti di un passato più o meno lontano, ed i risultati assumono un valore feticistico irresistibile, capace di portare alle stelle DSC03761_Ian_Stevenson_-_Surprisela valutazione anche del vostro usato artistico non garantito, perché la fusione sincretica tra segni provenienti da altre epoche e impronte decise e irriverenti determina una sovrapposizione tra strati artistici che può ricordare golosamente tanto le stratificazioni archeologiche care agli amanti dell’Alta Cultura, quanto quelle in un quadro a decollage multi-strappo di Mimmo Rotella, quanto infine quelle in un panino Mc Donald’s di quelli che Claes Oldenburg riproduceva in gesso colorato, associazioni, queste ultime, che ancora suscitano comunque l’acquolina in bocca anche all’elite di massa dei consumatori d’arte, oggi così ipernutrita che necessita di proposte multi-vitaminiche eppure “alla portata” come queste di Mondo Pop, per muo-versi ad entusiasmo e mettere mano al portafoglio per sprovincializzare le pareti di casa. La mostra diventa quindi il volano per un servizio di Art Agency, come dicevamo, da offrire ad appassionati e collezionisti per far rinnovare su commissione opere d’arte finite, a torto o a ragione, in un cantuccio della stanzetta degli ospiti; e allora, descriviamo nel dettaglio alcuni dei pezzi “pilota” per aiutarvi a decidere che tipo di trattamento New Art infliggere agli ex capolavori delle vostre gallerie private. Dal panorama internazionale, sono stati chiamati a lavorare sul tema Ian Stevenson e Odö. Il primo, tra Lowbrow e concettuale, colloca fantoccetti amorfi volutamente patetici in cartoline o foto forse prese dal Reader’s Digest: in un caso il personaggio, bianco, volteggia altissimo come uno sformato pupazzo della Michelen gonfiato come un pallone aerostatico, è sospeso su delle spettacolari vette di chissà quale catena montuosa e, chiedendosi dove finisca la troposfera e inizi una storia a fumetti per uno come lui, esclama: “Oh fuck I’m lost again!” In un altro pezzo, di una banalità sconcertante e ironica, quindi ricercatissimo, osserviamo la pubblicità di un paio di pantaloni jeans elasticizzati, offerti ad un cheap price, sui quali l’artista traccia ripetutamente e seraficamente la scritta SHIT, come se fosse non solo un motivo stampato sui suddetti pantaloni simil-pigiama, ma anche un motivo di soddisfazione il poter esprimere in modo così provocatoriamente inane la propria critica verso gli scarti di Postalmarket! E ancora, c’è un “No entertainment” scritto col pennarello su un’elenco dei programmi TV, un “You’ll win nothing” tracciato su un biglietto del gioco del lotto ed un “Surprise!” gridato da uno dei pupazzi amorfi, giallo stavolta, che emerge da un laghetto in mezzo ad un gruppetto di anatre, in una foto in b/n che altrimenti sarebbe stata di una malinconia imbarazzante, scattata con la luce grigia d’un pomeriggio insignificante nel suo sforzo di essere poetico.

Odö invece porta a segno alcuni degli interventi più entusiasmanti della mostra; in “Germinal”, “Nivoise”, “Frimaire”, sovrappone la sua interpretazione surrealista a stampe antiche francesi “deposè à la Biblioteque Nationale”, dotando quindi le figure neoclassiche di maschere nere fetish a cancellare il volto, e in un caso, di un triangolo solido intorno al collo come una collare metafisico, e ricoprendo gli arti e altre parti dell’immagine con spire assassine di un colore coprente che appare smaltato, lucido, con sopra le righine sottilissime che rendono queste forme serpentine qualcosa di simile a mazzi di capelli colorati con tinte fosforescenti capaci di stritolare i personaggi, che ne sono composti e perciò non soccombono come il Laocoonte di ellenistica memoria, ad eccezione del topolino acido che, in un quadro più grande, appare invaso fin dentro le cavità oculari da questi tentacoli, su un fondo a losanghe distorte eseguito con tecnica simile, mentre l’originale vintage era un ritratto in tinte seppia del 1927!

Pimpmyart-Cesko_untitledTra gli artisti italiani, Cesko in “Untitled” sovrappone il suo delirio pop-surrealista al ritratto classico di ragazza, aggiungendoviun fantolino dal cervello rosso scoperchiato, che ella tiene in grembo come una figliolanza larvale avvolto in una coperta color acquamarina, una fascia rossa con insetto nero su tondo bianco che la giovinetta porta al braccio, ed uno sfondo di colline fucsia spento che sembrano forme molli e monocrome dettagliate come le nuvole bianche, grazie a minuscoli e innumerevoli trattini neri che le fanno apparire di una consistenza papposa e grinzosa, come se fossero organi scorticati: Pensate che manchi ancora qualcosa? Avete ragione: sulla spalla della giovane, ecco una fanciullina mignon pop-fumettistica con cornine pappose e dalle membra anch’essa grinzose, che sparge coriandoli verso il bebè, mentre alla fanciulla spuntano orecchiuzze della stessa sostanza delle nuvole, anziché dei sogni, come scriveva Shakespeare. In “Fame”, quadro rinascimentale su tavola, le teste sono bianche e a forma di zucca, e con un paio di tubi arrivano a suggere proteine dall’analogo di un pezzo d’abbacchio, ma alieno, bianco anch’esso e dall’interno giallo come i due personaggi dalla consistenza fibbrosa, forse, e dico forse, anche un po’ ottusi.

Nicola Alessandrini, altro nome di richiamo, da noi già recensito in un’altra simile occasione, è anche questa volta DSC03765_N._Alessandrinicoerente col suo spirito dissacratorio nei confronti della religione organizzata di Stato, oltre che formalmente convincentissimo: tra inserzioni a collage per le ramificazioni arboree scheletriche sulla testa del Cristo al posto della solita noiosa aureola, e disvelamenti del Dio fatto uomo che si apre la tunica e mostra l’interno del suo corpo fisico (sistema cardiocircolatorio, muscoli e scheletro) al posto della abusata anima imperitura, ce n’è abbastanza per raccogliere il plauso dei fondamentalisti atei e le ire dei circoli bocciofili papali, simboleggiati forse dagli angeli col sangue alla bocca, il tutto inserito in favolose cornici vintage lavorate (una delle quali intagliata con la scritta: “True love will find you… in the end”). Il volto del Redentore si fa teschio e ci salva “in pizzo in pizzo” come dicono le parrocchiane di Zagarolo; il titolo di questa serie, tradotto, è “La rilevanza della Morte nella vita di Gesù”, uno studio tra esorcismo anti-eccle-siastico e scaramanzia pasquale! Nel pezzo numero uno della serie, in una cornice barocca di legno scuro, S.Giuseppe e la Madonna appaiono come camei nelle orbite di un teschio, e Gesù nelle cavità nasali, men-tre la mascella esibisce una dentatura magenta come se avesse masticato amaro, non sangue, perché al-trimente potreste impressionarvi, ma diciamo ceralacca, utile per sigillare e… suggellare legalmente l’unione della Sacra Famiglia.

Alberto Corradi con “Cosmic Rossignol” invece ha rimpinguato la riproduzione di un quadro di Mirò addensandola di segni mimetici rispetto allo stile del maestro spagnolo e portandovi il personale contributo di forme bianco-rosso-nere amebiche con bocche dai denti tondi, sguaiate, e meteoriti sempre bianco-neri in rilievo che, venuti da una galassia 3D per cozzare con l’opera, vi sono rimasti incastonati, ben si mimetizzano nel contesto pur portando una prepotente variazione sul tema; spettacolare e vivacissimo!

FrimaireMarco Rea, giovane e romano, dopo il liceo artistico ha iniziato la carriera con i graffiti perché l’Accademia l’ha lasciata una settimana dopo averla sedotta, mentre invece la Scuola Romana del Fumetto gli ha dato modo di crearsi un percorso tra pop-surrealism e street art, perché rielabora immagini prese da riviste di moda o di tendenza su cui nebulizza vapori spray che a loro volta proiettano nell’indefinito queste scene minimali che si caricano di un senso feticistico nebbioso, oltre che della qualità istantanea del medium fotografico e della patina di artificialità dei ritagli del fashion world.

Interpretando il suo dovere di ospitalità, abbiamo lasciato per ultimo, in questa che è solo una parziale rassegna delle opere in mostra, David Diavù Vecchiato, artista di grido, nume tutelare della galleria e apprezzatissimo docente di sub-culture pop, New Art in generale, e lussureggianti deviazioni dalle estenuate norme accademiche; in una serie che si alimenta con l’acclamazione del suo pubblico, l’artista presenta delle interpretazioni manco a dirlo personalissime di tavole di comics prelevate, con enorme affetto ma senza sudditanza estetica, da albi dedicati a Spiderman: deliberatamente grottesco è il quadretto in cui sulla tavola a tutta pagina domina una sorta di Betty Boop dalla faccia gonfia di anabolizzanti e cellulite e dal corpo da pin-up col vestitino sollevato non dal vento dei condizionatori d’aria, come Marilyn, ma dallo sguardo spiazzato di Spiderman, che comunque sempre dal basso in su si spinge, mentre uno dei “topolini a vanvera” di Vecchiato se la ride, a suo agio nell’atmosfera da scandalo creatasi sul set di una “Sconfitta originale” causata forse proprio dalle forme procaci della pimpmyart-davidvecchiato-Vecchio_rimorso_grido_taciutoninfetta, col musetto rigon-fio e avvizzito insieme, che sembra produrre un micidiale emissione di gocce rosse dal suo corteggiatissimo posteriore!? “Odio per questo mondo… Odio per se stesso” esprime, come si legge nella didascalia ori-ginale, un’altra tavola con soldati, aerei e carrarmati; dalla bocca di fuoco di uno dei carrarmati si trasforma in un compiaciuto “topolino a vanvera” coi dentoni e gli occhi strizzati per il piacere e la pelle avvizzita da tratti minimi di pennello che lo fanno sembrare una xilografia pop bianco-nera: “Odio per me stesso” è il titolo, che ribadisce e sintetizza la pulsione di morte alla base delle attività belliche. Diavù dichiara di essere deliziato da quelle sequenze nei fumetti che riportano le riflessioni dei supereroi nel pieno di un’azione vertiginosa, frasi tipo: “Ho molto a cui pensare!..” ma è anche sfizioso girare graficamente intorno a scritte denotanti eccentriche esplosioni come “KA-BLAMMO!” Esemplare e ultradesiderabile, però, tra gli altri, il dipinto che ritrae un bosco sfumato, indefinito, con una villa che si intravede in alto a destra tra gli alberi; in questo contesto Diavù ha spavaldamente collocato un altro dei suoi topolini, ma in versione haunted, perse-guitato, infestato da rimorsi in forma di nuvolette nere che gli escono dagli orifizi della testa soffocandone persino il grido di dolore-orrore, titolo: “Vecchio rimorso, grido taciuto”: spettacolare vagabondaggio soli-psistico da anima in pena decadente da parte di una icona pop corrotta dal crollo degli ideali e dal naufragio dell’infanzia! Quanto alle cornici da sballo antiquario, in cartone pressato, sono frutto di una visita ad un corniciaio di Arezzo che non si rendeva conto di cosa avesse tra le mani e se n’è disfatto, come anche delle antiche riproduzioni di acquerelli naturalistici, ora tartassati dalla scomoda presenza di creature incise da un tratto derivato dall’ammirazione del Magnus di Kriminal, un fanatico della linea, che nasce sottile e poi s’ingrandisce, un po’ come certe recensioni si sa a mala pena come cominciano, ma prima o poi finiscono nel delirio o nella sindrome di Stendhal!

il7 – Marco Settembre

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