L’Ode alla madre di Lina Sastri
[TEATRO]
ROMA- Armonia e melodia. La Casa di Ninetta, in scena al Teatro Piccolo Eliseo a Roma, accarezza direttamente e dolcemente il cuore. Il testo, scritto di getto dopo la recente scomparsa della madre affetta da Alzheimer, malattia “che umilia il corpo e la mente”, è un flusso di coscienza ricco di amore e commozione.
Non è possibile esimersi dalla profondità dei racconti dell’artista che ricorda la genitrice, piccola “fata” e sua personale fonte di luce ed energia. Una donna nata da una famiglia modesta, che ha lottato per l’amore per i suoi cari e per il suo grande e tormentato amore.
Lina Sastri ricostruisce piccoli quadretti, vicende familiari e amicali, che descrivono una donna che ha conquistato tutti con la sua temperanza e serenità, spesso maschera appariscente della sua sofferta solitudine. L’attrice e autrice si commuove raccontando il mondo di lei: il marito Alfonso, infedele e violento, l’amica Carmela, l’ex fidanzato, “quello buono”, Antonio, le sue amiche di ospedale, l’altro figlio e i suoi fratelli. Un soffio vitale, quello di Ninetta, che rivive nelle parole e negli sguardi di Lina, sempre sospesi tra il pubblico ed il cielo.
Il monologo è un’ode all’amore filiale, racconta gioie e dolori di un non semplice rapporto familiare e si dipana in riflessioni sul vivere la propria arte, su Dio e la religione, e la musica. La musica: le scenette di vita quotidiana e straordinaria sono frammentate dalla voce della madre che canta sonetti napoletani e ritornelli di famose melodie partenopee. Le sue note, il suo canto, prorompono sul palco e interrompono Lina, e lei sorride. Lei è ancora in suo ascolto, come se fosse accanto a lei, mentre nel frattempo fuma una sigaretta o apre una seggiola rossa per far accomodare noi nella sua ode, nella sua vita, nel suo dolore, nella sua fiera consapevolezza che la madre sempre sorridente, piena di gioia, con “il diritto all’amore”, ora avesse raggiunto finalmente la sua casa, la casa di Ninetta.
L’interprete, diretta da Emanuela Giordano, comunica la speranza, descrive l’amore. Non solo una preghiera, intima, commovente, dolce, innamorata, sofferente, che parla di lacrime senza lacrime: anche un inno alla vita, dalla madre incarnata, ed un messaggio: amare, e non smettere di donarsi. Perché è questo che riempie la vita e ci rende eterni, nei ricordi di chi ha incontrato il nostro volto, il nostro sguardo, il nostro sorriso.
Francesco Salvatore Cagnazzo
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