La Tartaruga di Darwin
[TEATRO]
ROMA- Harriet era una magnifica ed elegante tartaruga di 150 kg che, poco tempo fa, si è spenta serenamente alla tenera età di 176 anni in Australia, circondata dall’affetto della sua ultima famiglia di adozione, quella del proprietario dello zoo che la ospitava e coccolava.
Una vita lunghissima, cominciata, secondo gli studiosi, nel lontano 1808 nelle isole Galapagos, dalle quali, pare, Charles Darwin in persona la ‘strappò’, insieme ad altri due esemplari, per portarla con sé in Inghilterra a bordo del famoso Beagle, nel 1836.
Ed è proprio dalla notizia letta su un giornale del compimento dei suoi 175 anni che rimase molto colpito il drammaturgo madrileno Juan Mayorga, uno dei più apprezzati talenti della scena contemporanea spagnola, con il suo teatro civile e immaginifico tradotto e rappresentato ormai in tutto il mondo e da qualche anno anche in Italia. “Che personaggio interessante! Questa tartaruga ha visto la Rivoluzione d’ottobre e la Perestroika, osservando sempre la storia dal basso” racconta lui stesso di aver pensato.
Nacque così l’idea che lo portò a realizzare La tartaruga di Darwin, l’opera in scena a Roma, in prima nazionale, dal 2 al 28 febbraio al Teatro Vittoria, per la regia di Stefano Messina con la compagnia stabile dello stesso teatro Attori&Tecnici.
Prendendo spunto dalla vera storia di Harriet e dalle teorie di quello stesso Darwin che le cambiò la vita, Mayorga ha immaginato che una grande curiosità e degli stimoli straordinari avessero portato la giovane tartaruga ad evolversi, trasformandola nel tempo in una donna.
Ed è in questa forma che l’anziana ma vivace Harriet (una magnifica Viviana Toniolo) si presenta nello studio di un famoso professore (Carlo Lizzani), autore di due grandi e prestigiosi volumi sulla storia dell’Europa moderna, facendogli notare che “è un’opera magnifica ma, con tutto il rispetto, l’affare Dreyfus non è andato esattamente così!”. All’attonito professore, che la prende per una povera vecchia pazza, Harriet racconta quindi di aver assistito di persona non solo al famoso processo, ma anche a tanti altri grandi episodi della storia europea, perché lei ha quasi 200 anni e altri non è che la tartaruga di Darwin.
Dopo avergli mostrato come prova il carapace che ancora la avvolge, gli propone un patto: lei metterà a disposizione dello studioso il capitale costituito dalle sue conoscenze, la veritiera versione dei fatti di cui è stata testimone, in cambio dei biglietti e documenti per poter tornare a casa, alle isole Galapagos, dove vuole finire in pace i suoi giorni.
Concluso l’accordo, Harriet inizia il suo racconto, partendo dal momento in cui la giovane tartaruga che pensava solo al cibo e al sesso incontrò per la prima volta degli uomini, facendo scattare in lei la molla della curiosità che la portò a salire sul Beagle, dove fu scoperta da Darwin. Terminato il viaggio, ‘Charlie’ se la portò a casa, a Londra, e vivendo con lui nel suo giardino, Harry (così l’aveva chiamata lui e tale era rimasta, la vera Harriet, per decenni, prima che qualcuno si accorgesse che si trattava in realtà di una lady) aveva imparato a comprendere il linguaggio umano e perfino a leggere. Finché un giorno ebbe voglia di superare il confine ormai troppo limitato dello steccato e avventurarsi, con la sua flemma, pochi centimetri alla volta, per il mondo.
In giro per Londra, si era imbattuta nell’esiliato Marx e leggendo la sua seconda versione del Manifesto del partito comunista era rimasta folgorata dalla potenza di quelle idee. Nel suo lungo e lento viaggio in cerca dello spettro del comunismo che doveva aggirarsi per il mondo, si ritrovò ad assistere ai più disparati eventi della storia d’Europa, dall’inaugurazione della Tour Eiffel alle due guerre mondiali, osservando da vicino grandi personaggi come Hitler, Lenin o Stalin.
Intanto, adattandosi di volta in volta alle diverse situazioni, Harriet aveva continuato la sua evoluzione. La paura dei bombardamenti di Guernica l’aveva fatta alzare su due zampe per poter fuggire meglio. Per salvare un bambino nel ghetto di Varsavia aveva acquisito la voce per poter urlare. A seconda della necessità del momento, poteva essere tartaruga o donna. Per la sua sopravvivenza, “meglio esser donna che tartaruga se in giro c’è la fame, ma meglio esser tartaruga che, per il mio naso adunco, esser presa per un’ebrea nella Germania del terzo Reich!” , o per il suo piacere, quando era in cerca di compagnia maschile, umana oppure no.
Ora però Harriet è stanca. Stanca degli esseri umani e delusa dalla cosiddetta civiltà di un mondo che cambia sempre solo in peggio, vuole tornare indietro, alle sue isole, e ritrovare il contatto con la natura.
Ma l’uomo è un animale egoista e crudele e anche questa volta non si smentisce. Alla brama di successo del Professore, che non ha nessuna intenzione di lasciarla andare, si unisce quella della moglie Beti (Annalisa Di Nola), che la vorrebbe trasformare in un fenomeno da baraccone, e quella di un medico senza scrupoli (Massimiliano Franciosa) che scopre casualmente la sua vera natura. Tutti e tre mirano solo a trarre profitto dalla povera Harriet, incuranti delle sofferenze che possono infliggerle pur di raggiungere i loro scopi. Non hanno fatto i conti, però, con la natura che non va mai sottovalutata e sa come prendere le proprie rivincite…
Un’idea estremamente affascinante per una favola dai richiami classici e moderni, che rimanda al racconto epico evocando immagini kafkiane. Uno spettacolo ricco di spunti di riflessione sulla natura umana e le sue potenzialità male indirizzate e una passeggiata a ritroso nel tempo per rivedere con occhi diversi la nostra storia degli ultimi due secoli. Forse un po’ lento, come d’altronde il passo della tartaruga, ma che arriva, sano e salvo, a coinvolgere ed affascinare il pubblico, catturandolo con la dolcezza di Harriet, che con il suo perfetto trucco sembra davvero una tartaruga ‘umanizzata’, contrapposta alla violenza degli eventi del passato e del presente.
Emanuela Meschini
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