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Lara Martelli: “Il Rock è improvvisazione senza obiettivi”

“Qui nel baratro tutto bene” è il primo album del progetto Bronson composto da Lara Martelli , Pierfrancesco Aliotta e Vieri Baiocchi che si ritrovano dopo anni dall’uscita di Orchidea Porpora, disco sul quale avevano precedentemente suonato assieme. Vieri reduce da un tour con Operaja Criminale e Marina Rei conosce Giorgio Maria Condemi, diventano amici ed è esattamente il musicista che mancava per poter tornare a suonare insieme. Il risultato è puro rock ‘n’roll senza fronzoli con testi che rispecchiano improvvisazione e sensualità. Lara stessa afferma: “Le parole sono arrivate, poi ne ho capito il senso. Mi sono ispirata ai vagabondi del Dharma di Kerouac, ho fatto con la musica quello che di solito faccio quando scrivo poesia: ho chiuso gli occhi e ho improvvisato, ho sondato e sollevato, e credo di aver usato un linguaggio che molti hanno dentro”.

Parliamo della genesi di questo nuovo progetto. Quando nasce, dove, come…

Bronson nasce molto tempo fa, anche se di fatto esiste da poco più di un anno e mezzo perché alla parte ritmica ci sono due dei musicisti con i quali ho collaborato per la maggior parte della mia vita e sono Vieri Baiocchi e Pierfrancesco Aliotta. Negli ultimi tempi la mia carriera artistica aveva preso una direzione diversa, orientata più alla musica elettronica. Poi durante la festa del mio compleanno ho avuto l’occasione di parlare con Vieri Baiocchi, che aveva avuto l’intenzione di creare un gruppo di lavoro…

Idea che nasce da “una festa di compleanno violenta…” in che senso?

Nel senso che eravamo sbronzi da due giorni (ride). Sai una di quelle situazioni che bevi e stai lì a raccontarti le cose, e inizi a raccontarti gli episodi dei vecchi tempi. A Vieri balenava da tempo l’idea di riunire persone che avrebbero creato qualcosa di interessante, tra queste c’era Giorgio Maria Condemi alla chitarra, che io non conoscevo. La cosa più straordinaria è che una volta riuniti in sala, senza avere un obiettivo preciso, siamo diventati subito affiatati. Ci accomunava la musica anni ’70, ’90 e l’amore per i Black Sabbath, molto presente in questo progetto. Abbiamo iniziato ad improvvisare e nel giro di 3 giorni avevamo un album completo.

Quindi, diciamo che la saggezza passa per la via dell’eccesso…

Ma si dai, gli album più geniali della storia sono stati ideati in condizioni pietose. La perdizione a volte aiuta.

Perché il nome Bronson?

L’ideatore del nome è stato Vieri Baiocchi, perché lui voleva un nome che richiamasse un personaggio anni ’70, molto duro, molto tosto: chiaramente Charles Bronson. Poi è stata aggiunta la Ø danese, per omaggiare le mie origini nordiche. Io sono finlandese, mia madre è cresciuta in Svezia, e tale motivo serve anche per ricordare questo mio dualismo, la poliedricità, quindi la mia storia che è divisa in due: la parte italiana e la parte internazionale.

E invece per quanto riguarda il titolo dell’album “Qui nel baratro tutto bene”?

Il titolo deriva da considerazioni che ho fatto in questi anni che rispecchiano la situazione generazionale nel quale si ritrovano a vivere i trentenni di oggi: lavori precari, nascita di bambini, scelte sbagliate, obiettivi non raggiunti, resoconti in genere. Insomma, descrivere la vita in un paese che ha fatto di tutto per escluderci.

Una generazione che è arrivata sempre o troppo tardi o troppo presto…

Esatto, però la vittoria sul baratro è proprio la capacità di potersi ritagliare un piccolo spazio di luce in cui l’arte diventa nutrimento vero per l’anima. Trovare l’entusiasmo di scrivere, fare qualcosa rappresenta la speranza per rinascere in questo baratro culturale che ci circonda.

Quanto incide la differenza di genere nella musica? Il rispetto della donna prescinde dalla terminologia?

In questo caso le parole sono semplici parole e tali rimangono. C’è una povertà intellettuale molto forte in questo momento, quindi poca azione e molta reazione, pochi contenuti e molta esteriorità; credo che tali pensieri siano solo lo specchio di un sistema decadente del quale non mi interessa parlarne. Potrei sembrare superficiale ed egoista, ma onestamente credo che più lontani si è dal meccanismo che ci ha portato fin qui più si ha una speranza seppur vana di sopravvivere. Stanno tentando di corrompere le menti più vivaci, facendoci vivere una vita da dormiente, sarebbe meglio cercare di sopravvivere il più lontano possibile da queste costrizioni.

Nell’ultimo anno a Roma abbiamo assistito alla chiusura di luoghi in cui si sono esibiti molti artisti, per alcuni hanno rappresentato un vero e proprio trampolino di lancio. Questa è una città che permette di emergere o crea solo problematiche di tipo politico-burocratico?

L’era dei luoghi che offrono possibilità di emergere è finita. Credo che stiano cercando di opprimere ciò che di buono offriva la città. Roma è la città più sbagliata per fare arte, mi dispiace dirlo ma è così. È un grande paese più che una città, è come l’Italia in generale. E poi, non esiste una comunità di artisti solidale, c’è molta divisione sotto tutti i punti di vista.

Anni fa ho assistito ad una tua cover di There is A Light That Never Goes out degli Smith. La reputo migliore dell’originale, quando farai un disco di cover?

Ci stavo pensando per aumentare le vendite (ride), negli anni ho interpretato Nick Drake con Roberto Angelini, i Beatles, questo pezzo degli Smiths con Pierfrancesco Alliotta che è stato unico. Mi piace reinterpretare canzoni di artisti maschili. Quindi, prima o poi, farò qualcosa di simile.

Quanto durerà questo progetto Bronson?

Spero tutta la vita, a meno che qualcuno di noi si stufi e sfasciamo il tutto, ma ci sono anni di vera amicizia tra noi, sarà difficile separarci.

Saverio Caruso

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