Eppela: la piattaforma italiana che finanzia progetti creativi
Abbiamo intervistato Eppela, la piattaforma italiana di crowdfunding, rewed based, dove raccontare, condividere e finanziare progetti creativi e start up. Un confronto per capire come sia possibile trasformare le idee in realtà.
Quando nasce Eppela? che ambiente avete trovato?
Eppela è nata nel maggio 2011. Questo mese compie 4 anni.
Allora s’iniziava a parlare di crowdfunding anche in Italia. Qualche piattaforma era già attiva ma naturalmente i modelli americani apparivano – e in un certo senso lo sono ancora adesso –lontanissimi sia per economie che per partecipazione.
Negli ultimi due anni Eppela ha letteralmente cambiato passo: da una fase di “evangelizzazione” rispetto al crowdfunding, siamo passati a strategie rivolte al risultato, per fornire ai nostri progettisti sempre maggiori possibilità di successo.
L’idea di “una via italiana” per il crowdfunding era ed è affascinante, sopratutto da quando la crisi ha letteralmente piegato la possibilità di ottenere credito dagli interlocutori classici: banche e finanziarie.
Economicamente parlando, con quali fondi è nata Eppela?
Coerentemente con la sua missione, Eppela è nata dal crowdfunding. La prima campagna infatti era “Eppela per Eppela”. In 30 giorni abbiamo raccolto la cifra necessaria per iniziare. Non si trattava solo di una manovra di marketing, ma di testare su noi stessi criticità e potenzialità della piattaforma. Ci siamo detti che “se funziona per noi può funzionare anche per altri”.
Quale è stato l’incremento occupazionale di Eppela e di fatturato negli anni?
Le due cose vanno di pari passo. Il fatturato cresce, lentamente, ma cresce e di conseguenza anche il personale, perché essere una piattaforma di crowdfunding richiede tempo e attenzione umana.
Non siamo più una startup, ma tutti i giorni è una sfida, che grazie a mentor del calibro di Poste Italiane, UnipolSai e Fastweb e partner come La Repubblica, Lucca Comics e Tom’s Hardware oggi raccogliamo con sempre maggiore entusiasmo e garanzie – anche economiche – per i prossimi anni.
Che tipo di comunicazione avete adottato? E come si ottiene la fiducia del visitatore?
La strategia è in continua evoluzione. In generale posso dirti che la comunicazione di Eppela per metà coincide con quella dei progetti che supporta e per metà con la percezione che lo staff ha di sé.
Certamente il crowfdfuning è un modello finanziario, ma come ti dicevo prima la “base umana” è quella che fa la differenza: credibilità, trasparenza e merito hanno un valore estremamente più alto di qualunque richiesta di fondi.
Quale è la percentuale dei progetti andati a buon fine?
Oltre il 40%
Quale è lo status quo del crowdfunding e fundraising in Italia?
Sulla carta ci sono circa quaranta piattaforme di crowdfunding ma quelle attive si contano sulle dita di una mano: solo il tempo ci dirà chi avrà intrapreso la strada più adatta per il nostro Paese.
In generale fare fundraising in Italia è estremamente faticoso, sia per questioni culturali che normative, ma osserviamo costantemente un cambio nei costumi — pensa alla sharing economy o alla fruizione “on demand” o “in streaming” — e questo ci induce a pensare che anche il fundraising può trovare nuovi basi e altre forme di mecenatismo.
Cosa vi differenzia dai vostri concorrenti?
La natura generalista di Eppela ci permette di confrontarci con tanti soggetti per progetti molto diversi. Questo è molto faticoso, perché richiede una buona dose di empatia con le necessità dei progettisti e dei loro sostenitori, ma crediamo sia la cifra distintiva del nostro lavoro quotidiano.
Ed ecco una notizia: dall’11 maggio ci apriamo in modo sostanziale al mondo della musica. Poste Italiane e Visa ha deciso di ampliare il progetto PostepayCrowd mettendo a disposizione 25 mila euro per 5 band che in 25 giorni raggiungeranno il 50% del budget per un proprio progetto: la produzione di un disco, un tour o un video. In più, una delle band avrà l’opportunità di aprirà il live dei Subsonica il 20 luglio a Rock in Roma.
Vi siete ispirati a modelli d’oltreoceano? Cosa succede all’estero che manca ancora in Italia o che voi vorreste ci fosse?
Vogliamo essere fautori del nostro destino: i modelli USA sono utilissimi solo come modelli. Forse quello che invidiamo alle piattaforme oltre oceano è la fiducia che i sostenitori – e sono tantissimi – garantiscono ai progetti: le persone si aiutano perché sposano una causa, condividono un’idea o un’esigenza, non necessariamente perché si conoscono. Per dirla con le parole di John Donne “Nessun uomo è un’isola”.
Stiamo lavorando proprio per generare questa fiducia, che è l’offerta in assoluto più preziosa.
Francesco Murolo