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Goldberg & Klein: sprazzi di luce

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[MUSICA]

IMG 9013ROMA- La Casa del Jazz Festival apre le porte di nuovo al grande jazz americano. Lo scorso 17 Luglio, all’interno della cornice meravigliosa del parco di Villa Osio, ha occupato il palco una formazione statunitense con un prezioso collaboratore sudamericano.
Un progetto datato giugno 2011, che trova spazio nella Capitale solo dopo un anno dall’uscita dell’album. Un fresco e bellissimo spazio nella programmazione dell’appuntamento jazz più caldo dell’estate. Che la CDJ abbia avuto sempre lungimiranti intuizioni lo si sapeva già, questa volta ad allietare il suo fido pubblico capitolino è il progetto che uno dei più acclamati pianisti newyorkesi ha intrapreso con un fine arrangiatore, compositore e organista, una sorta di Gil Evans Argentino. Parliamo di Aaron Goldberg e Guillermo Klein. Bienestan è il nome del prodotto che ha visto la collaborazione dei due. Un album composto principalmente da brani dell’argentino e standard riarrangiati sempre da Klein che con la sua sensibilità orchestrale ha apportato modifiche strutturali interessanti a pezzi di Charlie Parker o alla super nota “All the things you are”. La premessa è questa, decisamente interessante. A questo si aggiungano altri tre musicisti degni di nota quali, il fido Matt Penman al contrabbasso, il formidabile Greg Hutchinson alla batteria e il quotatissimo Mark Turner al sax tenore. La formazione sulla carta prevede scintille, ma dalla carta all’effettiva pietanza ce n’è di strada.

I cinque aprono il concerto con una ballata melodica, “Burrito” per poi proseguire con “Human Feel” introdotto da un ostinato in cui il sax di Turner inserito a metà pezzo ha creato variazioni di ritmo e ha reso il pezzo sempre più veloce e martellante e poi il brano “Triangulando”. Di primo acchito il feeling e l’interplay risultano essere modesti, il suono meccanico e secco. La colpa può essere ricercata anche dalla dipendenza verso lo spartito che evidentemente non lasciava la libertà di interpretare. Ma anche nel “Blues for Alice” di Parker, si nota una certa mancanza di energia e di divertimento. Interessante il duetto seguente di Goldberg e Klein. Nel brano “Implacable”, Klein crea un sottofondo che riecheggia Philiph Glass, un ritmo estatico, su cui le sapienti mani del pianista americano hanno creato una melodia perfetta e vertiginosa. Il quintetto ha continuato con la già citata “All the Things you are” e la ballad “Anita”. Il sassofono di Turner, invece di aiutare con il lirismo tipico dello strumento un pezzo che richiedeva una dose massiccia di sentimento, risultava, invece, troppo secco e preciso, senza troppe sfumature. E così che quando, subito dopo, sax e rhodes hanno lasciato il palco al trio rodato del pianista ti accorgi che forse la loro energia in 3 è più forte di quella che scaturiva dal quintetto e che la loro voglia di improvvisare e la capacità di ascoltarsi, cercarsi e capirsi è molto più forte.
A volte il numero non è poi così importante, e la qualità non deriva sempre dalle doti tecniche. Tanto che nel momento in cui si inserisce Turner nella parkeriana “Moose the Mouche” improvvisamente l’energia si arresta e cala irrimediabilmente, relegando i tre al ruolo di gregari, di accompagnatori di una improvvisazione cervellotica e spietatamente tecnica, le cui soluzioni avranno sicuramente fatto impazzire i colleghi del sassofonista, ma che hanno fatto storcere il naso a chi si aspettava un filo continuo con quello che stavano facendo Goldberg e compagni.
Non sono certo da discutere le capacità tecniche di cotanto musicista, o del compositore Argentino i cui pezzi e arrangiamenti erano tutti degni di nota, ma a volte il rapporto con il pubblico è più importante di tanto tecnicismo gratuito. Aaron Goldberg è il solito pianista umile e raffinato di sempre, come il suo contrabbassista di origini neozelandesi, un suono corposo ed elegante il suo. Di Greg Hutchinson, ancora, c’è veramente poco da dire. Un batterista formidabile, degno erede dei suoi predecessori americani. La chiusa del concerto con “ La Cancion que Falta” e con un bis, ha giusto un po’ sciolto il gelo del gruppo, che forse solo dopo un’ora e mezzo di concerto incominciava a scaldarsi. Eppure c’erano ancora 30 gradi a Roma quella sera…

Valeria Loprieno
Foto di Giacomo Citro

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