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Marco Rò_ Un Mondo Digitale

Poche cose possono essere difficili da inquadrare come i contorni dell’eterna questione della libertà autoriale di un musicista. O almeno: non per più di qualche minuto. Specie se ci si abitua all’idea di fondo per cui entrare in contatto con il mondo di ogni artista ripropone lo stesso problema di una traduzione: mentre lo si decifra, ci si rende conto che è piuttosto fisiologico che qualcosa finisca per andar perso.

Un Mondo DigitaleQuindi hai voglia a piazzarti lì col centimetro a cercare di stabilire fino a che punto l’artista ha saputo/voluto/potuto essere e dire ciò che voleva, e quanto invece abbiano prevalso X varianti esterne: non solo si rischia di congetturare sul nulla o sul frainteso, ma, lo dicevamo, qualcosa comunque va perso.
La questione resta, però: e trova fondato alloggio nei solchi di Un Mondo Digitale (Novo Sonum/Edel), ultima fatica di Marco Patanè, in arte Marco Rò.
Vecchia conoscenza di un underground romano elegantemente frequentato nei panni di frontman dei Clyde, il nostro confeziona un lavoro che rende difficile evitare l’interrogativo che ci si poneva in apertura.
Intendiamoci: in Un Mondo Digitale i primi ascolti identificano un lavoro pop di assoluta modernità e non banale intenzione (è leggera e scanzonata la riuscita web-filastrocca srotolata dalla title track, e assai graziosa quella “Trasparente” che mette in mostra una vena pulsante da rampante crooner), mentre i successivi lasciano apprezzare una ricognizione stilistica del tutto peculiare che in deliziosi e misurati dosaggi di arrangiamento omaggia country, blues, Dean Martin, old school America e Sixties (il fascinoso ripescaggio della caselliana “Tutto Nero” – a sua volta cover di “Paint It Black”, dal catalogo dei primi Stones – o quell’ “Ho Fretta” che pur non presentando certo liriche tra le più riuscite del disco vanta un bel mondo da ballabile rock’n’roll vecchio stampo e – carramba! – il piacevole cameo di Adriana Ruocco – sì, proprio lei).

Tutto bene, quindi? Non del tutto.
Già, perché alla fine di ripetuti ascolti diverse cose non tornano: forse più preoccupato di curare il proprio appeal (peraltro garantito dalla bellezza di una vocalità duttile e vellutata e, che non guasta, da un invidiabile physique du rôle) che non di rendere meno innocui e popularmente stereotipati – con effetti qua e là anche discutibili (è davvero difficile sorvolare sul Topo Gigio di “Stato D’Influenza”) – i vissuti altresì sentiti che propone, Marco sembra decisamente tenere per sé assai più di quanto non racconti, lasciando intuire (e ricordare a quanti, come chi scrive, lo conoscono da vecchia data) una penna forse confusa sul da farsi, più probabilmente – e inspiegabilmente – trattenuta rispetto a ben più ampie potenzialità di songwriter.
Chissà: qualcosa, in ogni traduzione, va perduta. Come si dice in questi casi: provaci ancora, Rò.

Hanno suonato:
Yuki Rufo e Claudio Trippa: chitarre
Pino Santamaria e Fabrizio “Prof” Termignone: basso
Paola Caridi: batteria
Roberto Polito: percussioni

TRACKLIST:
01. Laboratorio 38
02. Senza Respiro
03. Un Mondo Digitale
04. Trasparente
05. Ho Fretta (feat. Adriana “Didi” Ruocco)
06. Beba
07. Stato D’Influenza
08. Tutto Nero
09. John

Francesco Chini

 

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