R. Sabauda, La Bella e la Bestia
Se gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere come ci spiegava John Gray nel suo famoso best seller, vedo poca possibilità per un lieto fine. Imparare la lingua di un paese straniero è complicato, figuriamoci quella di un altro pianeta; quindi l’incomunicabilità sarà il mostro cattivo che vincerà sempre?
Le favole, a differenza dei manuali degli psicologi, qualche speranza ce l’hanno sempre data e allora qualche volta meglio rifugiarsi nelle favole, dove il bel principe salva la bella principessa. Ma è mai esistita una favola del genere? Più la ricerco e più mi rendo conto che le favole sono molto più realistiche di quanto si possa credere. Prendiamo una lei che viene da Venere, la chiameremo Bella e un lui che viene da Marte, un uomo, più semplicemente la Bestia; poi ci sono due sorelle cattive e gelose della cara Bella e un padre che non sa gestire le proprie finanze e che sacrifica la figlia. In sintesi, questi sono i personaggi de La Bella e la Bestia.
Nella versione del libro pop-up edito da Mondadori i disegni di Robert Sabauda esplodono dal libro. Le illustrazioni si alzano per costruire il castello, le immagini sembrano incastrate nella vetrata di una chiesa; i profili sono marcati, tutto è ben delineato e sottolineato anche dai colori forti: il giardino del castello della Bestia si trasforma in un lampada in stile Tiffany.
Tra le rose del giardino e le pagine del libro, Bella conoscerà il suo carceriere e diventerà vittima della sindrome di Stoccolma, così avrebbero detto i contemporanei sessuologi e psicologi autori di illustri manuali per la salvaguardia delle relazioni, nelle favole, però, le cose funzionano diversamente. Bella sa innamorarsi della sua Bestia perché “trovò il coraggio di guardare il mostro negli occhi e vi scoprì una profonda tristezza”.
Ma questa la conosco: la sindrome della crocerossina! Si tratta di una di quelle sindromi da settimanale rosa, uno di quelli dove dopo averti dato indicazioni su come far meglio l’amore, ti spiegano come perdere dieci chili mangiando solo minestrone e, nel servizio successivo, aggiungono che agli uomini piacciono le donne formose, mentre in copertina c’è una strafiga con le gambe lunghe un chilometro senza nessuno di quei rotolini che cercheremo di combattere con la dieta dissociata. Saranno questo tipo di giornali a dissociare noi?
Ritornando alla cara Bella, che si fa carico dei bisogni di tutti, del padre prima e della Bestia poi, nutrendosi della sua capacità di diventare indispensabile grazie alla sua totale oblatività. È facile rispecchiarsi in lei. Tutti vorremo essere indispensabili, ma questo non vuol dire che a tutti noi tocchi una Bestia, anzi forse è meglio dire che non a tutti toccherà una Bestia che si trasformerà in un principe.
La favola ha origini antiche, e come diceva mio nonno: gli antichi la sapevano lunga! Forse c’è ancora qualche speranza per un lieto fine.
La Bella e la Bestia ha chiari riferimenti ad Amore e Psiche, la storia narrata da Apuleio ne Le Metamorfosi, in epoca moderna sono due donne a raccontarla: prima Madame de Villeneuve nel 1740 e nel 1756 Jeanne Marie Leprince de Beaumont, che la snellì rendendola di facile lettura.
La traduzione edita da Mondadori per l’edizione pop-up si attiene alla versione più breve della de Beaumont. Queste due scrittrici hanno raccolto una storia popolare: la giovane brava e bella, tutta dedita ala famiglia che per caso si innamora dell’uomo sbagliato (o è quello giusto?) una storia ripresa nelle trame di Jane Austen. Forse dietro l’espressione severa di Mr. Darcy ci sono gli occhi tristi della Bestia. In effetti, Bella ha il pregiudizio di Elizabeth Bennet, ed esattamente come lei riuscirà a capire di essere innamorata dell’uomo del quale aveva investito un preconcetto che l’aveva fatta diventare cieca.
“Che sciocca che era stata aveva trovato l’amore, e nemmeno se ne era resa conto.” Così la favola ci conduce verso il lieto fine e Bella “fece ruotare l’anello tre volte attorno al dito e pensò al castello illuminato, al bellissimo giardino e, più di tutto, alla Bestia. La sua Bestia”. Bella avrà modo di ritrovare il suo amore quando entrambi credevano di essersi persi.
Ed ecco la soluzione per imparare qualsiasi linguaggio, quello di Marte piuttosto che quello di Venere: abbattere ogni forma di orgoglio e di pregiudizio! Lo diceva anche la Austen.
Tra le favole e i manuali di psicologia applicata, partita vinta per le favole, non c’è dubbio. Anche perché almeno in qualche favola, come in questa, il lieto fine c’è, e qualche volta abbiamo bisogno del lieto fine per costruirne uno per noi.
Quindi crediamo pure che la Bella possa salvare la sua Bestia. Sempre che la Bestia si lasci salvare!
Robert Sabauda, La Bella e la Bestia, Mondadori, pag. 16, € 29
Rossana Calbi
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