A Santa Lucia: fermo immagine
[TEATRO]
ROMA- Aprile, Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman e Teatro Stabile di Calabria: come non essere felici all’idea di trascorrere la domenica pomeriggio accompagnati da questi ingredienti? A Santa Lucia è tratta dal testo inedito Santa Lucia Nova di Raffaele Viviani, genio del Teatro Napoletano.
La regia del lavoro è curata da Geppy Gleijeses che si presenta anche come interprete accanto a nomi conosciuti e non del panorama italiano, tra cui il comico Lello Arena e Marianella Bargilli.
La commedia, recitata in napoletano, ci racconta, o meglio ci accenna, alcune storie di vita vissuta nell’immediato dopoguerra a Borgo Marinari, situato sotto il napoletano Castel dell’Ovo. I protagonisti si “inseriscono” nella piazza antistante il ristorante Starita, locale dall’altezzosa fama, davanti al quale ogni autoctono cerca la fortuna nelle tasche dei clienti tanto ricchi quanto facili da abbindolare. Un ritratto di povertà positiva in cui i personaggi mantengono un atmosfera solare, tipica dell’italiano capace di cavarsela con le toppe e il sorriso.
E’ insomma l’intreccio tra la descrizione della diversità sociale e l’egoismo del potente che sempre e comunque va a ledere il sano sentimento dei luciani, poveri disarmati dal velo di finzione dell’Aristocrazia. Ecco dunque la donna francese, bellissima, che si prende gioco del vecchio e potente uomo napoletano, attratta dal suo patrimonio ormai prosciugato; oppure la femme fatale, conquistatrice del cuore di un aitante giovane promesso ad altro destino, atteso da una fanciulla tanto povera quanto innamorata.
Il Leitmotiv che ci accompagna in tutta l’opera è il tradimento della figlia del povero pescatore d’ostriche che affranta attende l’amore infedele in riva al mare. E come contorno sono presenti le tipiche tematiche della tradizione napoletana, che, se non sono genuine al massimo, rischiano di ridicolizzare lo stesso genere, rendendolo una parodia tanto da fornire allo spettatore la possibilità non voluta di prevedere ciò che sta per succedere.
Nonostante il testo, che è ovviamente vincolante, alcuni tra gli attori avrebbero potuto essere più originali nell’”abitare” il ruolo interpretato, forse anche curando il dettaglio di azioni sceniche e gesti caratterizzanti.
Le varie tipologie d’uomo descritte, dal poveraccio che si finge ricco, alla serva un po’ sguaiata, all’algida donna straniera, snocciolano un “ritratto” prevedibile, forse troppo impostato e monocorde per il brillare di un genere teatrale che ha regalato grandi gioie all’Italia di tanti anni fa.
La macchinosa scenografia, un fisarmonicista accovacciato all’angolo del boccascena e un numero di “simil cabaret” completano i due atti recitati per la platea gremita di quel genere di persone che vanno al Teatro Quirino la domenica pomeriggio.
Nel complesso, lo spettatore si sente fuori dal tempo; forse era l’intento stesso del regista quello di voler fotografare l’ambiente luciano. Non si è trattato, però, solamente di un fermo-immagine, ma di un vero e proprio “fermo-energetico”, dato dalla riproposizione di situazioni ormai dimenticate.
Cito dal foglio di sala:
«Santa Lucia Nova è un testo inedito di Viviani. C’è da domandarsi perché». Forse, all’uscita dal teatro, si è in grado di dare una risposta.
Giovanna Rovedo
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