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Gretchen Parlato e i suoi oggetti smarriti

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[MUSICA]

18776165 due-date-italiane-di-gretchen-parlato-1ROMA- Un piccolo talento era quando nel 2004 si è aggiudicata il prestigioso premio Thelonious Monk per i musicisti emergenti. Da allora la cantante californiana Gretchen Parlato, classe 1976, si è imposta a suon di note nell’olimpo del jazz mondiale, tanto da avere riconoscimenti grandiosi anche da un mostro sacro come Wayne Shorter.

Alla sua indubbia crescita anagrafica si è sommata una maturità stilistica, tecnica e compositiva che l’ha portata al concepimento del suo terzo album da solista “ The Lost and Found”. Un album che l’ha consacrata definitivamente sulla scena e che le ha permesso di vincere anche il sondaggio annuale della rivista Down Beat’s come migliore voce femminile emergente. Così, con la sua voce raffinata e la sua innata eleganza, la Parlato ha toccato anche il suolo romano, lo scorso 22 marzo per un concerto all’Auditorium Parco della Musica, proprio per presentare il succitato album insieme ai suoi compagni di registrazione.
Nel suo repertorio una miscellanea di cover e pezzi originali. Bossa nova, pop e jazz attraverso la sua voce acquistano una uniformità particolare. La sua grande musicalità e il suo spiccato senso del ritmo le permettono di passare dalla “Butterfly” di Hancock all “Holding back the years”, dei Simply Red, con facilità e soprattutto con MCraft GretchenParlato 2010EJF 2544personalità. I suoi non sono semplici rifacimenti in chiave jazz di pezzi più o meno popolari, ma in essi c’è una chiara volontà di interpretare in maniera personale delle sensazioni, delle emozioni che scorrono attraverso determinati brani, determinate note. La sua voce calda e dolce è perfetta, a volte anche troppo, come nel samba “Alo Alo” di Paulinho da Viola, che avrei voluto sentire, a mio personalissimo gusto anche un po’ più sporco. Ma la Parlato crea e modifica tutto con il suo stile e il suo aplomb, ed è così che presenta le sue ultime composizioni “Winter Wind” e “Circling” e ancora una “Blue in Green” di Bill Evans, in chiave bossa, quasi lounge.
È tutto molto bello nel suo show davanti alla platea romana. Sentirla cantare è una goduria per le orecchie, un buon cibo per il senso estetico, ma forse, e lo dico con tutta l’umiltà possibile, manca qualcosa per un altro senso, quello che viene dalla pancia e che attraversa le viscere. Manca quella sensazione di sublimità che spesse volte non appartiene alla perfezione. Ascoltandola è difficile emozionarsi, sentire con l’anima invece che con l’udito, entrare in empatia con la sua voce e sentire i brividi sulla pelle. Non resta che ammirarla per le sue capacità e per le indiscusse capacità dei suoi compagni, primo fra tutti il batterista Kendrick Scott, e godere, anche se con un solo senso, della sua bella voce.

Valeria Loprieno

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