Banda (dis)armata
[TEATRO]
ROMA- Damiano, Iaio, Tito. Michele La Ginestra, Ettore Bassi, Sergio Zecca. Tre strumenti perfettamente accordati nelle mani di Roberto Marafante, regista e direttore d’orchestra a un tempo di questa singolarissima Banda (dis)armata, in scena fino al 29 aprile al Teatro Roma.
Perché i tre interpreti altro non sono che menestrelli dei giorni nostri, rappresentanti di quel genere umano ai bordi della società che oggi chiamiamo diversamente abili.
Damiano e la sua chitarra immaginaria, con la quale ha vinto – primo su dieci (…) – il campionato nazionale di suonatori d’aria. Disoccupato da sempre, ma con il curriculum pieno di specializzazioni inutili, è sposato con una rumena che lo chiama defisiente e padre di un bambino che lancia in aria, perché impari a volare. Iaio e i suoi pianoforti da accordare al quarto piano del Quirinale, costretto su una sedia a rotelle che cerca di nascondere al mondo, arrabbiato per le ingiustizie che vede intorno.
Tito, diplomato al conservatorio che invece di insegnare musica è professore di inglese: unica raccomandazione che sua madre è riuscita a ottenere per lui. Cieco, passa le giornate tra la scuola e il seminterrato in cui vive completamente immerso nella naftalina. Finché incontra gli altri due e l’assolo si fa concerto.
Ne esce fuori una commedia brillante e niente affatto scontata, dove si ride con intelligenza e si pensa. Soprattutto si pensa. A partire dall’allestimento scenico, su cui dominano tre grossi armadi, metafora del nascondiglio di altrettante vite. Spazi angusti in cui rifugiarsi e cullare sogni e paure. Domina su tutto l’orologio del Quirinale, sintesi di un tempo collettivo e intimistico che non lascia presagire niente di buono per il futuro se le lancette sono state dimenticate. Un eterno presente in cui conoscersi e riconoscersi parte di uno stesso processo di sintesi che dal molteplice procede all’uno. Il folle, il paraplegico e il cieco altro non sono infatti che tipi umani che quotidianamente ci scrolliamo di dosso, buoni solo per farci sentire migliori. Da qui parte la loro insurrezione disarmata. Loro, così privi di strumenti per affrontare la vita, quella vita che li ha privati di tutto la sfidano a viso aperto, col coraggio che dà solo la disperazione. Una banda che non uccide e non fa rapine, ma rivendica per sé la dignità dei pari. Lo fa a parole – puntuale il testo di Adriano Bennicelli – e lo fa coi gesti di Zecca, Bassi e La Ginestra, capaci, una volta calato il sipario, di unire il pubblico in un applauso corale.
Matteo Mastrogiacomo
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