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Mani come farfalle: Flamenco al Desnudo

Foto di Federico Ugolini
Foto di Federico Ugolini

ROMA- 8 luglio, la Compagnia Suite Española ospite di Invito alla Danza edizione 2011 nella sede storica di Villa Pamphilj: un trionfo libero da orpelli, “autentico” in ogni gesto, movimento e nota musicale. Un flamenco che recupera la sua antica genuinità, per trasmetterne la sua essenza attraverso emozioni provenienti dal profondo dell’anima.

Verde intorno, cielo blu sopra e sotto le note lamentose, sincopate tra chitarra e cantaora, tra zapateato e ritmo energico del cuore. Come citano gli autori delle coreografie, Rosario e Ricardo Castro: “i piedi per sentir la 20110708-DSC_3570_copyterra, le mani per sentire il cielo e il cuore per sentire la voce più vera del flamenco“.
Che poi cosa sarà mai questa danza così sanguigna, così elementare eppure così complessa? Anima della Terra, desiderio di innalzarsi al di sopra di questa e di prendere tempo e spazio, verso un infinito cercato, negato, in un rispetto sofferto per cui si getta la vita. Sofferenza e amore, espressione di sé e ricerca della dura madre da cui tutti nasciamo, pur senza saperlo: la libertà.
Nel cante libero della cantaora (e peccato non sapere neanche come si chiama) c’è come un lamento che è incanto, che si riflette e si ingigantisce nel ritmo serrato dei piedi, nel cuore delle espressioni, e nelle mani che si muovono libere, come farfalle.
E’ un’emozione vibrante cogliere la perfezione del movimento così come è stato concepito, o meglio creato sul campo, così tanti secoli fa. Il Flamenco, patrimonio artistico dell’umanità (dichiarato tale sul finire del 2009 dall’UNESCO), è passione primitiva e talento indiscusso, proprietà esclusiva di chi lo mastica fin dalla nascita. Perché non si tratta solo di imparare a muovere mani e piedi al ritmo giusto del compàs, ma di sentir uscire da dentro 20110708-DSC_3578_copyquella ferocia assassina che è fatta di orgoglio e desiderio, ritmo atavico del sangue che scorre, nel caldo, nell’afa incessante della costrizione.
Ed è così che si percepisce la preparazione tecnica dei bailaores sul palco: si incontra quel senso della precisione estetica molto classico, che si sposa alla perfezione all’improvvisazione flamenca, elargendo sinuosità e delicatezza all’intenzione, alla volontà di marciare la terra ed uscire fuori dalle radici.

Dopo il debutto al Teatro de Madrid, Flamenco al Desnudo è stato apprezzato in tournée in Spagna e all’estero. La compagnia in scena nasce nel 1985 con il nome di Flamenco Vivo e successivamente prende il nome di Compañia Suite Española. Dalla Finlandia al Giappone, dalla Grecia al Messico, dalla Cina all’Australia, Suite Espanola arriva finalmente anche in Italia, con un cast di 10 ballerini e 6 musicisti (2 chitarre classiche, violoncello, cajon, flauto traverso e cantaora), che eseguono la musica dal vivo.
Incanta Rosario Castro quando entra in scena e si attorciglia al drappo che scende dalle quinte: una sorta di (ri)nascita, una fecondazione che porta il suo frutto all’esterno e diviene coreografia di gruppo (notevoli i giovanissimi danzatori della Compagnia). Meraviglia suo fratello Ricardo Castro, quando inscena un baile de tablao: una sedia, un tavolo, un assolo forse anche troppo spinto (nella sua durata), che sfocia poi in un nuovo corale dove la cantaora viene avanti sulla scena e fa venire la pelle d’oca col suo cante gitano, gridato, quasi d’accusa. Peccato davvero non capirne fino in fondo le parole 20110708-DSC_3745_copytormentate, ma il flamenco non ha un’espressività latente, si esprime libero e arriva al cuore dello spettatore in un lampo. Un bastone che viene lasciato in eredità è l’input, il zapateato che si sviluppa intorno al battere furioso del bastone, dei piedi e delle mani è semplicemente meraviglioso. E poi il mantòn con quel senso del volo, dell’attorcigliamento intorno al corpo che è spinta all’esterno e all’interiorità.
Inutile pensare di poter mai arrivare a compenetrare fino in fondo lo spirito e l’anima di un ballo così profondo: c’è troppo dentro per poterlo raccontare in una volta sola, la fortuna è incontrare compagnie come questa che rendono un servizio all’intera collettività, che non si riassume solo nell’apprezzamento sentito e dovuto alla perfezione delle esecuzioni, ma anche e soprattutto, all’amore e alla dedizione che scorre in maniera penetrante sul palco. Raffinatezza e purezza dello stile, rigore della tecnica ed eleganza degli splendidi costumi: un salto a piè pari nel cuore caliente dell’Andalucia.

Edyth Cristofaro
Foto di Federico Ugolini

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