Best Major Festival: l’Heineken Open’er Festival
1 LUGLIO
Il World Stage è quello in cui si suona musica etnica, folk e ogni tipo di contaminazione possibile, su cui spesso ci sono artisti molto più interessanti di quelli che suonano sul palco principale. E’ da lì che comincia la seconda giornata di festival, dalla performance di Abraham Inc. Un misto di funk, klezmer, jazz e… hip hop! So di non rendere bene l’idea, ma è esattamente così: il virtuoso clarinettista klezmer David Krakauer, il pioniere della tromba funk per lungo tempo direttore dell’orchestra di James Brown, Fred Wesley, e il “beat architect” SoCalled, un polistrumentista folle, voce, sample e chi più ne ha più ne metta. Una band di nove componenti tra la sezione di fiati che si porta dietro Wesley e i membri della Krakauer’s Klezmer Madness! band di New York, più un rapper, che riescono a tenere incollate le presone sotto al palco, con un ritmo ipnotico e inarrestabile, nonostante la pioggia scrosciante. Una vera esplosione di culture!
Un salto veloce al Tent Stage dove, dopo i Twilite e i D4D, si stanno esibendo i British Sea Power con il loro ottimo indie rock inglese che si dipana da un palco immerso nel verde della scenografia fatta di arbusti e fogliame vario. Sono le 22 e sul palco del Main Stage, dopo la coloratissima Brodka (vincitrice del Pop Idol polacco) e dopo aver disfatto l’agghiacciante palco da cartone animato che era stato allestito per lei, è la volta dei Pulp. Suonano sprazzi di passato remoto (“Do You Remeber The First Time?”, 1994) e quasi tutto il disco che li portò al successo nel 1995, Different Class (“I Spy”, “Disco 2000”, “Something changed” e diverse altre), per poi concludere con “Bar Italia” e la celebre “Common People”.
Meglio ritornare al World Stage dove Youssou N’Dour sta riscaldando tutti con il suo caratteristico afro-pop, tinteggiato di reggae e ritmi tribali. Ad assisterlo sul palco sono diversi musicisti, ballerini, acrobati che saltano, cadono e rimbalzano su delle melodiche trascinanti in cui è impossibile restare impassibili. Ci regala un classico, “7 Seconds”, qualche pezzo di Bob Marley, mentre con altri pezzi tra francese, inglese e wolof (la lingua senegalese) prova a farci vedere un altro lato dell’Africa, quella che combatte per la libertà e che vuole cambiamento. Dolce e suggestivo, N’Dour alza il pugno, e dal pubblico se ne alzano tanti per brani come quelli che sembrano essere veri e propri inni, in cui ognuno grida “Africa” griderebbe il nome della propria patria…
Nel frattempo all’Alter Space, dove ci sono concerti jazz, proiezioni di corti, documentari e spettacoli di fuoco, stanno proiettando Videocracy, di italianissima argomentazione. Ricordate: non sarete mai al sicuro da nessuna parte, anche a chilometri e chilometri vi perseguiterà! Noi glissiamo e andiamo avanti, mimetizzandoci bene al Tent Stage (l’unico palco coperto) per un attimo di relax dalla pioggia, e ci troviamo tra la fine dell’esibizione dei Cut Copy con il loro carico di elettro-dance e l’inizio della performance dei Crystal Fighters, della loro elettronica basca e di uno spettacolo singolare, quanto meno per gli strumenti particolarissimi che utilizzano i musicisti.
Nel frattempo sul Main Stage ci sono i Foals che hanno cominciato placidamente con “Blue Blood”, procedono con il tormentone di “Olympic Airways” per poi cominciare a scaldarsi davvero con “Cassius”. Sfoderano molti più brani del primo disco, Antidotes, portandosi quindi dietro ancora i rimasugli di un vecchio math rock affogato nell’alt dance ma sapientemente nascosti dietro il grande abbagliante che è oggi l’indie rock. Allestiscono una performance senza coloriture particolari, che cala di ritmo con “Miami” ma che riprende la sua identità con “Red Socks Purgie” e che, per fortuna conclude con “Two Steps, Twice”, durante la quale Yannis Philippakis fa il suo bagno di folla con chitarra al seguito, lasciando impressa un’immagine più dignitosa di sé.
A concerti finiti la festa all’Open’er non è certo finita. Per chi non è troppo stanco (o soddisfatto), infatti, la notte continua al Burn Beat Stage, tra musica house e djset, o in un altro spazio molto più divertente che è la Silent Disco: un tunnel, luci, strobo e musica che c’è ma non si sente. Ogni persona ha infatti delle cuffie wireless con cui può scegliere quali dei due dj alla consolle ascoltare, ballare e ovviamente cantare a squarcia gola. Se non un’esperienza da provare è almeno da guardare.
Emiliana Pistillo
Emiliana Pistillo, Gydnia, Heineken Open'er Festival, martelive, martemagazine, musica, Notizie