Non stiamo qui a pettinare le bambole
[ARTI VISVE]
ROMA- Combattere l’AIDS, la malaria e le altre malattie, questo è il sesto obiettivo fissato dalle Nazioni Unite con l’intento di raggiungerlo entro il 2015, un invito raccolto con successo dalla Galleria Whitecubealpigneto che con Non stiamo qui a pettinare le bambole di Roberto Silvestrini Garcia, ha chiuso il ciclo degli eventi targati Il prossimo mio, di cui vi abbiamo già parlato in occasione delle mostre precedenti.
Con Non stiamo qui a pettinare le bambole Roberto Silvestrini Garcia ha messo in scena un percorso espositivo in cui proprio le bambole sono state il filo conduttore attraverso cui l’arte si mette a disposizione di una causa giusta, senza tuttavia rinunciare a sé stessa. Non stiamo qui a pettinare le bambole non è stata una mostra per bambini, ma un gioco di immagini che documentano la trasformazione delle bambole da parte dell’artista venezuelano, il quale si è forse divertito a proporre caricature di esseri umani, scomponendo e ricomponendo questi piccoli corpicini dalle dimensioni sproporzionate che fanno sorridere, ma anche riflettere. Riflettere sulla condizione del corpo, quello vero, quello dell’essere umano che viene sfruttato e abusato proprio come un giocattolo. Come bambole che vengono messe in vetrina, quella di un negozio di lusso ad Amburgo o lasciate marcire vicino la spazzatura con gli occhi sgranati, da brivido, per le strade di Napoli o lungo i marciapiedi di New York.
Da ogni parte del mondo le bambole sono tutte uguali, hanno le stesse caratteristiche ed hanno lo stesso scopo, soddisfare un desiderio effimero, eppure, c’è da dire che quelle raccolte da Silvestrini Garcia per questa mostra sorprendono: giocano con il nostro sguardo, nascondendosi in immagini incorniciate che si possono osservare solo attraverso una lente d’ingrandimento che illustra un mondo scomposto.
Il gioco di sguardi tra spettatore e bambole sembra dare inizio ad un circolo vizioso in cui non si capisce chi osserva cosa, uno spettacolare stordimento dei sensi che trasporta in un mondo ludico, dove il gioco si nasconde dietro la superficie triste.
Volti e corpi trasformati, burattini che non si vergognano a mostrare le loro parti intime, mentre altre bambole se ne stanno immobili, ferme a raccogliere il silenzio di chi passa senza accorgersi di loro e del loro grido lacerante.
Bambole di porcellana, di plastica, di legno, bambole che non sanno più di essere bambole, ma solo oggetti, oggetti in disuso. Ma non per Roberto Silvestrini Garcia che ha saputo come ridare vita alla materia, senza stare lì, come si dice comunemente, a pettinare le bambole.
Eva Di Tullio
Foto per gentile concessione della Galleria
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