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Tra i suoni lontani di Elias Nardi

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[MUSICA]
3ROMA- Che bella Trastevere quando c’è allegria, sole nell’aria e bambini che disegnano nella piazza. Poi c’è la bellezza di infilarsi in posti come la Libreria Bibli e scoprire, come è accaduto il 5 maggio scorso, un’altra aria. Questa però è diversa: ti riempie di mondo, ti fa respirare musica di altri luoghi, suoni passati e talenti annunciati o appena sbocciati. E li incontri Elias Nardi che presenta il suo primo disco, Orange Tree.

Il lato della sala in cui suonerà l’Elias Nardi Quartet sembra disposta per accogliere caldi raga indiani: su un grande tappeto sono appoggiati gli strumenti, più dietro un immenso armamentario di percussioni fatto dagli oggetti anche più disparati. Ad introdurre i quattro musicisti è Paolo Scarnecchia, che vola sulla storia degli strumenti, sulle vite dei musicisti e sulla filosofia dell’incontro sonoro con un’attenzione minuziosa ed emozionale. Basta poco per avere l’acquolina in bocca. E come sempre le descrizioni sono troppo limitative.
Apre proprio il toscano Elias Nardi con il suo oud, un liuto a manico corto della tradizione araba. E sfata così il primo mito: quello di uno strumento fatto per accompagnare, il più importante strumento del mondo arabo che si snoda come un perfetto strumento solista.
Elias ha un approccio tutto particolare a questo strumento che ha studiato tra jazz e tradizione classica, riuscendo così a far uscire i suoi suoni da stereotipiche armonie e legandoli alla contemporaneità più effervescente. Si unisce a lui la nyckelharpa, strumento ad arco tipico delle musica tradizionale svedese, del belga Didier François. Due strumenti che è difficile vedere accostati insieme, ma che rappresentano in modo univoco e indecifrabile la musica senza barriere e confini. Il risultato arriva a grandi livelli quando si aggiungono a loro le particolari ritmiche di Emanuele Le Pera (tra gong, cartelli stradali, rastrelli e ogni fervida vibrazione), la 1creatività e la splendida esuberanza senza freni del basso fretless di Carlo La Manna.

E’ l’incrocio di questi strumenti che rende così unico questo progetto. Quattro personalità che nella compostezza dei più grandi virtuosi europei è lì che inventa, suda, digrigna melodiche e suoni amari a cui siamo poco abituati ma a cui sentiamo comunque di appartenere. E poi c’è la parte più fisica della musica: un musicista che abbraccia, abbandonato come l’Angelo musicante di Rosso Fiorentino, il suo strumento; o quelli che comunicano con esso attraverso sguardi e spinte a dare di più, gli si urla contro e lui urla al musicista in una conversazione fatta di grinta e carica: un discorso tra musicista e un oggetto che è inevitabilmente parte del suo stesso essere.
E’ difficile trovarsi a concerti così densi, tra tradizione araba e contemporaneità occidentale. Senza luoghi precisi o definizioni di genere. E poi abbracciare indiscriminatamente jazz, musica popolare, minimal e tutto ciò che sta nel mezzo e nei contorni. Quando le culture si incontrano, si reinventano senza stravolgersi a vicenda, poi, definire delle sonorità come musica etnica perde di significato. Rimane solo una cosa certa: lo spettacolo è assicurato.

Emiliana Pistillo

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