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Polvere viola per raccontare “distanze” che uniscono

Foto di Federico Ugolini
Foto di Federico Ugolini

Prima intervista ai Violapolvere nella “tana”, come la chiamano loro; l’antro musicale dove nascono e crescono le creazioni musicali di quattro ragazzi che ci credono e fanno musica per rilasciare a dosi calibrate note d’autore in versione rock-pop.


Ciao ragazzi, partiamo dalla polvere viola. In musica il viola è sempre stato il colore dell’offuscamento cerebrale, ma anche di una sorta di rivoluzione interiore. Mi vengono in mente gruppi come i Deep Purple e canzoni come “Purple Haze” di Jimi Hendrix, o “Purple Rain” del grande Prince. Cosa rappresenta il viola per i Violapolvere?
Ivan:
Per noi è una sfumatura musicale molto affine al nostro modo di suonare e di comporre.
Giacomo: Guarda, nasce anche per un discorso scaramantico, sai che nell’ambiente dello 20110327-DSC_7293_copyspettacolo si dice che il viola non è di buon auspicio, ecco noi esorcizziamo questo momento, ma non c’è un vero e proprio studio dietro. In realtà quando l’ho immaginato, facevo riferimento ad un ricordo ancestrale, scolastico. Mi piaceva il suono delle due parole combinate. Cercavo un nome che suonasse bene in tutti i sensi. Oggi “Violapolvere” rappresenta una forma onomatopeica che ritorna all’orecchio come nella musica che facciamo. Peraltro se non ricordo male quell’anno era anche l’anno del viola, andava di moda (sorride), beh ma sicuramente è un colore che ci rappresenta musicalmente, perché può avere varie tonalità: è un colore riflessivo. La musica e i testi che facciamo sono molto viscerali. Qualche tempo fa una danzatrice ha ballato sulla nostra musica perché mi ha detto essere molto emozionale, riesco a danzare – diceva –  pensando ad una storia e in questo modo creo una coreografia. E’ un qualcosa che mi tocca perché è stata recepita in modo forte, che lascia spazio ad altre interpretazioni artistiche.  
Luca: E’ una sfumatura che non avevamo realizzato. In effetti lo assimilo ad un certo tipo di musica. Abbiamo sempre detto che è una sfumatura diversa e il suonare bene fa parte del messaggio contenuto nel colore e nel nostro modo di fare musica. Ripensando al primo disco, in effetti il viola mutua anche dal passato. Sebbene non si riesca a percepire, c’è tanto della musica che ascoltiamo e che abbiamo ascoltato.
Max: Vorremmo essere una nuova sfumatura di qualcosa che già esiste, vorremmo raccontare le nostre storie che sono quelle di sempre, quelle di tutti, fatte di stati d’animo, dubbi, inquietudini, disagi, amori. Le melodie sono nei silenzi e nei rumori della nostra vita quotidiana, chi si emoziona per qualcosa è in grado di comporre canzoni, alle volte basta una parola particolarmente musicale per rompere la diga che blocca il fiume di pensieri che abbiamo in testa. Ci piacerebbe coprire questi pensieri di Violapolvere.

Quanto c’è di musica Popular nel vostro rock e viceversa?
Max:
Beh, la musica dei Violapolvere è molto popular, ovvero nasce con l’intento di arrivare ad un pubblico vasto quanto più è possibile. Ma molto c’è anche di rock, e non mi riferisco solo al sound, alla chitarra in saturazione o a un certo tipo di struttura ritmica. E’ rock perché secondo noi è rocciosa, le nostre canzoni partono dall’anima, si alimentano dell’aria che respiriamo, del sangue che ci scorre dentro. Il nostro intento è quello di usare un linguaggio musicale che racconti storie semplici, senza tralasciare un certo tipo di complessità nell’elaborazione musicale che ci viene naturale.
Luca: Se ti riferisci alla musica popolare come “tradizione popolare italiana” e cioè ad un modo di far arrivare la musica, di portarla chitarra e voce piuttosto che alla famosa scuola romana di Niccolò Fabi, Max Gazzè, – anche se loro stessi non ci si riconoscono – Beh, sicuramente si trae dalla musica leggera italiana. Dato che teniamo molto in considerazione quegli autori, abbiamo saputo ben miscelare quelle sonorità, soprattutto nel modo di scrivere, o meglio di riscrivere le canzoni. Gli stessi Fabi e Gazzè hanno preso tanto dalla musica italiana e anche da quella straniera. Devo dire che i musicisti in genere rimpastano la musica, e poi la digeriscono e la fanno propria innovando. Il Pop, invece è un discorso a parte. Con Distanze abbiamo preso sonorità più rock, certo, e anche l’elettronica è più dosata rispetto al nostro primo lavoro. Per seguire delle linee commerciali possiamo dire che la nostra musica rientra in un certo tipo di ascolto, ha percezione radiofonica. Sonorità morbide e linee melodiche che riconducono a quel genere.
20110115-DSC_4036_copyIvan: Si, certo. Ci spostiamo tra il pop e rock, ma questo lavoro è certamente più rockeggiante. Giacomo: Penso che la musica non la si può etichettare. Quando parli e ti confronti con artisti che fanno musica per necessità, ciò che esce fuori è l’esternazione di ciò che hai dentro. Non hai vincoli per vendere. Ecco noi siamo così, di fatto è l’ascoltatore che recepisce la nostra musica come Pop. Perché noi suoniamo l’esternazione di un gruppo ben miscelato.
Ivan: A sensazione? Non c’è propriamente un trasporto pop, c’è energia, che va più su venature rock, è quello che sento quando suono, sono così. Mi piace trasmettere energia.
Giacomo: Qualche settimana fa abbiamo suonato in un locale di Roma. Non si sentiva molto bene ma chi ascoltava mi ha detto che ha ricevuto belle emozioni. Queste  sono le cose per cui decido con passione di suonare ancora dal vivo e non chiuso nella mia “cameretta”. La sostanza è che vogliamo fare qualcosa che ci appartiene e in cui troviamo la nostra realizzazione, in effetti non ti puoi impossessare di un’arte che non hai, ma di qualcosa che hai dentro e che vuoi trasmettere.
Luca: Abbiamo parlato di gabbie ed etichette, peraltro gli anni ‘90 hanno rappresentato un rimpasto di vari generi. Ma oggi effettivamente esiste il pop-rock come genere unico: é una sorta di figura mitologica con la testa rock e il corpo pop. Lo abbiamo notato anche partecipando ai contest, dove ormai viene indicata la categoria pop-rock. Oggi, secondo me, ci sono stringhe verbali e non generi puri. Fatto salvo, ovviamente, il concetto di emozionalità che ha espresso Giacomo, che ti slega da un incasellamento freddo. Bisogna sempre salvaguardare questo meccanismo che poi è quello che governa il trasposto e l’emozione.


Progetti civetta come quello dei Lunapòp hanno fatto da apripista poi per lanciare progetti più impegnati, con maggiore polpa dentro. Il vostro parte già con una visione ben precisa. Dove vuole arrivare?
Luca:
La nostra forza è rappresentata dal fatto che ognuno di noi si incastra con l’altro sia nella musica che nella vita, siamo buoni amici e professionisti ben amalgamati. Immagino che Cremonini abbia sempre scritto per sé. Se avesse messo in piedi la “Cremonini Band” piuttosto che i Lunapòp non sarebbe cambiato poi tanto, il passaggio sarebbe stato lo stesso, solo più evidente. Anche i Negramaro che sono sicuramente più coesi come band e più longevi, ruotano attorno alla figura di Sangiorgi. Noi siamo fondamentali l’uno all’altro e col tempo abbiamo fatto crescere questa concatenazione, dalla scrittura creativa fino alle esibizioni dal vivo.
Ivan: Guarda, i Violapolvere siamo noi quattro altrimenti i Violapolvere non esisterebbero.


Il progetto Distanze sembra far parte di una rinascita. Quali elementi delle vostre canzoni vi rappresentano di più? E come siete riusciti a miscelare le esigenze musicali di ognuno di voi, nelle vostre canzoni?
Giacomo:
Ascolta, per fortuna i brani nascono secondo processi differenti. Magari c’è un testo da musicare che passa per la chitarra di Max poi Ivan ci mette l’elettronica e io ci giro sopra con il basso. Tutti questi passaggi ti portano ad una deformazione del concept originale. Questo ti fa capire che il lavoro non è frutto di una mente sola. Poi ci sono le eccezioni.  Insomma si arriva ad un risultato finale che anche se scritto da una persona sola appartiene a tutti, anche a chi ascolta la nostra musica. Ed è qui che fai il colpo giusto. E questo è il POP, una “creatura” che contiene chiunque e che ognuno sente sua , anche se in modo diverso. Quindi per rispondere alla tua domanda la nostra musica è frutto di una collaborazione, un obiettivo comune dove ognuno porta il suo per raggiungerlo; una somma di quattro persone. Un disco che racchiude un concetto e dentro ogni brano ognuno di noi viene rappresentato in una piccola parte e non nella totalità. La nostra musica non è una vetrina dove riconosci quattro figure distinte, noi siamo un corpo solo.  Peraltro, guarda non avrei mai pensato di riuscire a sentire il nostro disco così di frequente, cosa che non è successa con il primo lavoro. Invece in auto, con tutto che porto sempre con me buoni dischi, a volte mi scappa di ascoltarlo e non mi stanca.

Ma quando riascoltate i vostri lavori cercate i possibili difetti? Distanze lo avreste risuonato così o diversamente?
Luca:
Si, lo facciamo è normale, la perfezione non ci riguarda e si cerca sempre soluzioni 20110115-DSC_4016_copydifferenti, ma comunque lo rifarei allo stesso modo.
Giacomo: Inavvertitamente cambi, anche dopo due giorni che lo hai scritto o registrato. Distanze é costruito in modo asettico, non è in presa diretta. E’ lo stesso lavoro che poi ti cambia e quello che faresti dopo è di fatto un’altra cosa. L’evoluzione è comunque positiva.

Una linea di basso o di chitarra fa di più rispetto ad un pensiero espresso nel testo? O viceversa?
Ivan:
Dipende anche dal messaggio che si vuole trasmettere. Una cassa che va veloce è sinonimo di energia, nella protesta ci sono ritmiche serrate, o graffianti. Insomma si crea il vestito al pezzo.
Luca: Ti aggiungo due fattori. Quello tecnico e la componente di gusto. Quella tecnica: va valutata in base a come sono nati i due album. Zona limite è un tributo che abbiamo voluto dare a scritture passate, un arco temporale ampio. Nato in studio, registrato e poi presentato live. In Distanze invece è stato fatto un processo contrario. Poi è chiaro che sul pezzo morbido stiamo attenti alle dinamiche o che la voce esca al meglio. Per quanto riguarda la composizione, la parte che ci contraddistingue, si basa molto sui momenti migliori tra Giacomo e Max, è un momento magico dove si stabilizza la medesima lunghezza d’onda e dove ci si ritrova. Una frase che cade proprio su quell’idea, quel mood melodico che Max voleva intessere nella canzone viene colto al volo da Giacomo.
Giacomo: La musica ti suggerisce delle parole. E viceversa. Spesso ti accorgi che per facilità si cercano le note e parole che funzionano e non per forza quelle giuste. Magari un determinato testo ha bisogno di molti accordi o un giro articolato, e non della tonica che suona mezz’ora per strizzare l’occhio all’ascoltatore più “leggero”. Questo si sente spesso nella musica, sulle radio che passano sempre le stesse cose, sui grandi network. Il lavoro che facciamo è quello di dare la giusta “musica” alla musica e viceversa. E’ la sfumatura di cui parlavamo.
Luca: Lavorando insieme non siamo autoreferenziali. Apprezzo artisti che sperimentano come Jovanotti ad esempio. Un cantautore di oggi può incorrere in questo problema. Innescare cambi e non incorrere in quella ripetitività non è sempre un processo immediato.
Giacomo: La ricerca è importante, come nelle scienze. Lo studio deve essere costante, non si smette mai di studiare soprattutto una cosa che ti piace che ti interessa, e cerchi di arrivare in fondo alle cose. Per me fermarsi è un po’ come morire. Anche se continui a vendere dischi. Molti potrebbero cambiare direzione. Ma gli artisti spesso fanno fatica a mettersi da parte. è una cosa che rimprovero ma mi auguro di non doverlo fare con me stesso. In fondo io sto occupando uno spazio, se pur piccolo, che presto sarà di un’altra persona. Vorrei dire un giorno: questo spazio te lo meriti tu, ora tocca a te!

C’è un artista che potrebbe condividere la vostra musica, per un’affinità di vedute? Cioè le vostre composizioni potrebbero essere pensate per un altro artista che potrebbe interpretarle in modo differente?
Luca:
Il primo che mi viene in mente con certe affinità nella nostra musica è Mario Venuti. Un po’ per il tipo di sonorità ma anche per il suo modo di scrivere. Molti testi e storie che raccontiamo sono di Giacomo. E lui gioca molto con le parole come fa Venuti. Sono giochi di parole che suscitano curiosità.
Ivan: Vedo i nostri pezzi molto versatili, un Francesco Renga per esempio. Ma non vedo limiti particolari.
Giacomo:
Io cerco di capire che tipo di esperienza ti spinge a scrivere una cosa e capire se quella frase è vera, sentita. Se dovessi decidere farei cantare le nostre canzoni ad una donna piuttosto che a un uomo. Ad esempio Elisa. Il mio è un pensiero molto femminista. L’uomo è 20101212-DSC_3438_copymolto più subdolo, “cattivo” rispetto alla donna. Credo sia un problema fisico, di costruzione dell’individuo. Luca ha la stessa premura che potrebbe avere una donna nel gestire le canzoni che facciamo. Sicuramente avverto il medesimo tatto in artisti come Niccolò Fabi. Ma una donna ha un istinto naturale, un senso di protezione, mentre l’uomo butta via più facilmente. E’ come se ci fosse rabbia nell’espressione di un uomo. Peraltro ora che Elisa è diventata mamma, potrebbe essere davvero il personaggio giusto, perché sta vivendo un’esperienza che cambia una donna. Non voglio fare distinzioni, anche un padre vive un momento importante, ma nella donna risveglia un istinto di protezione unico e raro.

Cosa smuove la musica dei Violapolvere?
Giacomo:
Io credo che cerchi di far avvicinare e sensibilizzare. Cercare di condividere un’esperienza che per me è fondamentale. La condivisione è alla base. Altrimenti si finisce per vivere su due piani distaccati. La nostra musica porta tutti a vedere come siamo e a condividere ciò che siamo.
Luca: Condivido il pensiero di Giacomo. Ma in fondo è un gioco di ruoli, lo scrittore scrive un testo all’interno del quale ci sono 10 metatesti differenti, mentre chi legge ne ritrova altri venti differenti. Si possono dare diverse interpretazioni.
Giacomo: E’ bello che esca l’umanità. A me le domande plastificate e confezionate di cui sai già la risposta mi lasciano perplesso. Non mi interessa fare quello che vogliono gli altri. Oggi faccio quello che dico io e basta. Chi canta la voglia di rivalsa crea altro odio. Non è una rabbia positiva che tu puoi ricostruire, in effetti è logorante. La disillusione è un problema forte, così come lo sono le tante porte in faccia. Ciò che nasce dalla rabbia risulta freddo anche se ti colpisce, ma non ti avvolge veramente. La verità è che siamo circondati da questo tipo di messaggi. Rispecchia ciò che abbiamo attorno e in questo periodo storico raccontare la rabbia funziona di più. Le persone sono abituate a ricevere un messaggio di questo tipo e lo assorbono più facilmente. La televisione che guardano e anche la musica è la medesima. Una cosa diversa, invece, ti colpisce, ma non sei pronto a tenerla e farla tua. Io dell’artista voglio sapere queste cose, voglio conoscere la persona. Voglio sapere di te cosa hai dentro: se vai in discoteca o al centro sociale non mi interessa più di tanto. La gente dovrebbe imparare a conoscere i contenuti dell’altro e non i vizi o le abitudini. L’artista, purtroppo, tende sempre a mettersi in mostra per ciò che fa, è come il bambino che va a scuola col il giochetto fico o costoso per farsi bello di fronte agli amici. Noi vogliamo conoscere la polpa che c’è dentro.

Dove e quando possiamo ascoltarvi dal vivo?
Detto fatto: il 2 maggio siamo “live unplugged” a RAI International. La trasmissione è “Taccuino Italiano” condotto da Rossella Diaco. Il collegamento per tutti è alle ore 13.20. Il 3 maggio presentiamo “Distanze” al The Place di Roma (ore 22.00) mentre il 26 maggio saremo al Dimmidisì in versione acustica, all’interno della rassegna dei cantautori. Infine il 4 giugno apriamo il concerto dei FSH al BLack Out sempre nella Capitale.

Federico Ugolini
Foto di Federico Ugolini

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