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PITTURA_ Primitivismo “romano”, micro-trapano, accordi cromatici

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IMG_5501Salvatore Gaetano Chiarella ha portato il 24 maggio 2011 al MArteLive due ottimi esempi della sua arte: due tele in cui personaggi e soggetti con campiture in certa misura “primitiviste”, in parte metafisiche, un po’ come “La venere dei porti” di Mario Sironi, si inseguono secondo norme dettate dalla ricerca di equilibri astratti, ma componendo con ottimo senso cromatico scenari non privi di simboli.

Se la grande figura dell’ uomo potente è un ibrido tra due personaggi giustapposti e tiene alta nella mano una freccia puramente grafica con cui forse colpisce una struttura simile al Gazometro che domina col suo silenzio le serate dell’ Alpheus, mentre con un’altra regge una stella gialla, ne “La tempesta” i soggetti si fanno più ironici: la donna inguainata nel bianco, con la testa che sembra sbocconcellata da un cappuccio rosso e giallo, si attacca ad una croce mentre il clown di profilo, che piange, ha come occhio la testa di un uccelletto totemico che si sporge in avanti, ed i due lampi alla Flash Gordon che zampillano dalla testa del circense, grigio-celesti, sono una sbroccata pop-fumettistica anni ’50 che ben poco si accorda con la scritta “La tempesta”, in basso, tracciata con la calligrafia di un secchione delle scuole elementari. Ma probabilmente la passione ad ampio raggio di quest’artista, che lo porta ad ammirare anche espressioni lontane dalla propria come Duchamp e Bacon, lo guiderà a casa a dare consistenza timbrica e armonia compositiva anche al quadro a cui non ha finito di lavorare dal vivo, rappresentante una donna del futuro, determinata, con la lunga capigliatura grigia, forse “un’astronauta”, come dice lui, a cui auguriamo di conferire anche a questa nuova opera quel carattere da Scuola Romana in equilibrio tra Mario Sironi e Afro che ci ha favorevolmente impressionato.

Ilaria Aprile è solita, e ce lo ricordavamo dalle precedenti edizioni, tracciare con una certa IMG_5519disposizione sperimentale e forse critica verso certi esemplari di umanità, dei segni neri per definire abbozzi di figure dalla forma sommaria, su fondi monocromi di un bianco informale reso tormentato dai numerosi interventi di collage e decollage in cartone e carta, quasi a manifestare la necessità di rilevare le asperità di una pittura “eroica” perché priva di un messaggio “popolare” e spianarle con il non-colore riposante che annulla il travaglio della superficie lasciandolo intuire come strato semisepolto. Il pezzo astratto presentato, come riferisce l’artista, è una sperimentazione pura, perché lei non concepisce i suoi quadri senza quegli abbozzi di figure umane che hanno per lei valore biografico, anche senza rivelare le storie che stanno dietro la carta velina che, incollata su tutto, cambia la tonalità dei pochi colori sottostanti, e senza chiarire le simbologie celate nelle scolature di alcool finalizzate a sciogliere il nero dell’uniposca ottenendo scolature di un viola piagnucolante. D’altro canto Aprile ha frequentato l’ISIA di Roma, Istituto Superiore Industrie Artistiche, ed è più concentrata sui materiali che sui messaggi. Però dal vivo ha lavorato su un bacio cromaticamente acce-so e intenso, ben presente nelle poche ma sentite linee, ricoperto poi da fogli di carta normale e applicazioni di colore anche materico depositato sul fondo luminoso giallo-celeste, o su ritagli di carta velina su cui stavolta l’artista aveva precedentemente tracciato tanti piccoli solidi poliedri dal valore ornamentale, riflesso condizionato, ci spiega l’artista, del parlare a lungo al telefono con gli strumenti del grafomane tra le mani, esempi di una “scrittura automatica” esposta ai diagrammi di flusso delle chiacchiere più emotive.

IMG_5465Beetroot, street artista che usa e osa lasciare i suoi elaborati sulle strade, liberi di essere prelevati (sul retro c’è la firma per l’autenticazione ed un numero per contattarlo) o colpevolmente ignorati, su tela prepara dei fondi molto spessi e corposi, con stucchi bianchi o grigi, con una lavorazione “pesante” a spatola, poi vi incide sopra immagini, per lo più, ci pare, volti, dal valore socialmente antagonista, rivoluzionario o utopistico, che secondo molti purtroppo è la stessa cosa. In un caso, sul fondo a stucco dipinto di nero lucido ha inciso il muso d’una scimpanzè, probabilmente ispiratogli dalla visione della saga cinematografica de “Il pianeta delle scimmie”, come suggerisce il titolo: “The dream’s defender”. Ma la particolarità del suo lavoro, che è stato notato e pubblicizzato anche sul sito di Beppe Grillo, è la sua tecnica, che si avvale del microtrapano di precisione Dremel per incidere direttamente sullo sfondo corposo tirando fuori il bianco dello stucco sotto al colore seguendo il tracciato del bozzetto preparatorio in proporzione 1/1 rispetto al quadro definitivo; metodologia che possiamo considerare la versione light di quella di Vhils, giovane portoghese che a volte con microcariche di esplosivo fa esplodere parti dell’intonaco di muri fatiscenti su cui incide così le sue creazioni. L’altra caratteristica di Beetroot è il suo impegno politico e civile, che lo ha spinto a realizzare “La Gioconda a Milano”, sarcastico pezzo unico in cui l’artista con la sua tecnica ha prodotto sulla tela solo una falsa cornice, con il vuoto (il bianco della tela) al centro, su cui campeggia il finto cartello: “Stolen by Pisapia”, riuscendo con ciò a mettere ironicamente in ridicolo le provocatorie e infondate accuse della Moratti a Pisapia durante il noto, recente, confronto televisivo su Sky. Ma naturalmente non mancherà chi indicherà questo piccolo quadro di impronta concettuale, come una ritorsione odiosamente simpaticona contro l’intoccabile signora altoborghese, perché si sa che gli specializzati in “persecuzioni” sono tutti a sinistra, come no?! Dal vivo l’artista ha realizzato un primo piano di donna con le labbra socchiuse ed un semplice segno sulla testa, a suggerire una corona di spine e la scritta “Chi s’offre di più?”, e l’apostrofo non è un refuso!

Daniel De Rossi non è solo il quasi omonimo del romanista Capitan Futuro, è anche un pittore IMG_5419dalla cromìa vivace, capace di trasformare il reticolo di vie e volumi di una “Città che sale” (Ricordate Boccioni?) resa astratta in una (s)composizione allegramente ridondante di campiture scandite da contorni neri disinvolti che si ricollegano idealmente alle soluzioni di astrazione geometrica di Piet Mondrian non senza esprimere un certo dinamismo (“Speed”). In “How deep the rabbit-hole goes” una simile scomposizione neo-cubista appare debitrice dello stile di un Legèr perché articolata con i toni freddi del grigio e dell’azzurro, oltre a diverse piccole sfumature in accordo, e vede protagonisti dei grandi orologi che scandiscono il tempo inscatolante e meccanico di un gioco di consonanze astratte, che ricorda quello d’una fabbrica di ore produttive, figlia dei “Tempi moderni” di Chaplin. Il titolo è dovuto alla frase pronunciata da Morpheus a Neo in Matrix: “Ti farò vedere quanto profonda è la tana del Bianconiglio..!” Come detto, i rimandi cromatici riportano al Mondrian influenzato dal Cubismo, ma rivolto all’esame di ogni relazione formale significante del mondo fisico, nei termini di una ricchezza calligrafica che scandisce ogni campo con intersecazioni scin-tillanti. Non c’è ancora l’apparente semplicità bidimensionale e la pur elevata rigidità che tanto avrebbero influenzato grafica e design, qui in De Rossi c’è spazio per una libera fantasticheria, ispirata dai ritmi della modernità, ma realizzata con elementi all’opposto della spigolosità volumetrica delle metropoli, giusto un pretesto per la ricerca sulle possibilità di una grammatica pittorica: ecco quindi le bolle, lucide, rosse e blu, dotate di contorni e riflessi sinfonicamente coerenti: allusione ad un futuro utopistico in cui gli insediamenti siano morbidi e rotondi come sfere spirituali di lucentezza trascendentale, una riedizione di pura ricerca di quell’”Omaggio a Bleriot” che Robert Delaunay dipinse nel 1914 intonando un peana al modernismo facendo proliferare i dischi prodotti dalle entusiasmanti eliche degli aeroplani di allora!

IMG_5440Michela Scardigno prepara fondi monocromi dai colori brillanti e poi vi riporta sopra le silhouette dell’”Amor sacro e amor profano” (acrilico e foglio aureo su tela 2011): si tratta di un dittico in cui la prima tela ospita una pop-bizantineggiante Madonna con Bambino disegnata solo attraverso le sue masse, senza contorni o linee, e la seconda una ragazza, dipinta allo stesso modo, che morde una mela del peccato, che emerge per sottrazione nel gioco figura-sfondo, e qui le forme però non si identificano benissimo, forse per timore di una punizione divina o da parte di una madre oppressiva. Dal vivo, l’artista ha realizzato un dipinto dal fondo verde su cui con un gusto decò piuttosto naif ha visualizzato una giovane nuda con scarpe rosse, acco-vacciata sui talloni, ma con una grande ala nera, con piume e nervature bronzee, che si sfalda in scolature sottilmente inquietanti e si estende in senso orizzontale verso destra, in uno sforzo di uniformare la sua femminilità ad una dimensione oscura che oggi sembra dominante in quanto a capacità seduttiva.

Lorenzo Marte Menicucci, attore e membro del gruppo vocale “Kea” con il logo che IMG_5480genialmente simula, senza replicarlo, il marchio dell’Ikea, sembra avere il pianeta del nostro movimento, Marte, nel destino, eppure si esibisce in un minimalismo grafico trasposto in pittura, come se andasse sempre ricercando il segno più furbo, come se volesse progettare il modo di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, e questo traspira impercettibilmente, è ovvio, dal suo accenno ad uno snodo concettuale di design spensierato, senza scopo, ma molto iconoplastico (?? la definizione è mia, per carità!) in cui sarebbe tutto celato il senso di una direzione pittorica asciutta e lucida, priva di tutti quegli orpelli estetici così opinabili. No, “Esordio”, bianco su nero, resta aristocraticamente avulso da ogni rappresentazione figurativamente o perfino percettivamente si-gnificante, è una sfida a decifrare l’ipotesi di un qualcosa assente, e se ne valesse la pena, noi ci sbilance-remmo in direzione di “confluenze eleganti di tubature” o “mini-moduli di una mappatura di incroci di piste vir-tuali”. “Musica è il centro” è invece tracciato, al contrario, nero su bianco, con quattro punti separati da due virgole unite e contrapposte, che nell’intenzione dell’artista sono due chiavi di basso che ricordano il Tao, e dipinti rigorosamente a mano. A noi riesce difficile assoggettarci a questa disciplina e non considerare l’in-sieme di segni come l’enigmatica allusione ad un tatuaggio giapponese che potrebbe significare “Disarmante e desolato, affascinato dai mulinelli e desideroso di punti fermi”. L’artista all’inizio della serata è rimasto a lungo interdetto davanti al suo cartoncino nero su cui prima ha riportato i risultati di alcune precise misurazioni, e poi si è spinto verso la parcellizzazione dell’inesprimibile rapporto tra i tasti molto reinterpretati di un pianoforte, creando delle addentellature prospettiche in contrasto col senso comune, e sfumando dalla parte opposta i suddetti tasti in una nuvola di acrilico bianco diluito: questo il frutto forse acerbo di un ec-cesso di minimalismo che ha portato l’artista a lasciare intonso il nero sotto alla immagine disadorna seb-bene a lungo congegnata, e dal momento che esiste anche lo slogan “Less is more”, io a questo punto mi lascio influenzare e, con tutta la precisione possibile, la chiudo qui.

il7 – Marco Settembre
Foto di Daniele Romaniello

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