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Il veleno del teatro

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[TEATRO]


DSC00154ROMA- Una scenografia suggestiva, affascinante e curata nei minimi dettagli è la chiave di apertura della pièce di Rodolf Sirera, andata in scena lo scorso 28 aprile al Teatro Duse (via Crema, Roma), intitolata Il veleno del Teatro.


Il particolare allestimento teatrale proietta sin dal primo istante in una dimensione retrò, ma con quel gusto palpalbile di atmosfera seducente e misteriosa. Lo spettacolo infatti è ambientato nella Parigi del 1700, nel periodo dei lumi, periodo in cui cominciano a prendere piede diverse teorie filosofiche nei diversi ambiti.

E la tematica affrontata e portata in scena su questo palco risponde alla domanda: quanto uno spettacolo teatrale può essere reale e realistico se ciò che si sta rappresentando non è realmente sentito dunque, vero? Ed è proprio questa la parola chiave e di accesso che guida all’interpretazione.
Due gli attori protagonisti, Valentina Politi nelle vesti della commediante Gabrielle Du Beaumont che, con il suo costume di scena ha reso ancor più colorito il suo personaggio e l’intera performance e Fabio Leopizzi nella parte del Servitore Signor Marchese che si è contraddistinto per la gestualità e il caldo timbro di voce, e insieme hanno colmato e riempito il palco.
La trama ha inizio nel momento in cui il Marchese invita nel suo palazzo la famosa attrice Gabrielle Du Beaumont per chiederle una rappresentazione privata ed esclusiva. Ma al suo arrivo l’attrice si trova invece a confrontarsi con un servitore-servente, che però non eguaglia il suo status sociale o, comunemente condiviso, perché lui fa sfoggio di profonda cultura.
Il Marchese infatti è sotto false vesti che incarna il ruolo del servitore, per mettere alla prova la sua ospite e farle capire quanto i rapporti e l’approccio interpersonale siano legati al ruolo che le persone occupano nella società. Tra i due nasce anche una discussione su quelli che sono i limiti delle rappresentazioni teatrali. E da qui il clou sulla scena.

Lo scambio di ruoli, il travestimento era solo la prova iniziale per l’attrice Gabrielle perché il DSCF4338momento catartico arriva successivamente, quando il Marchese chiede all’attrice di rappresentare una sua opera, che tratta il momento cruciale della morte, nel modo più veritiero. Ma non contento di come l’attrice avesse recitato il testo in questione, il Marchese mette Gabrielle nella condizione ‘reale’ di vivere quel momento. Come?…Avvelenandola! Perché secondo lui non si può eguagliare in alcun modo la realtà se non vivendola, con le emozioni del momento che sono quelle genuine e veritiere. E da qui si accende il pathos in scena e l’attrice si spoglia anche di quelle convinzioni sociali, che fino a quel momento erano incise e scolpite nella sua mente.
“Il veleno del teatro rappresenta quella certa idea dell’attore e della verità, ora affannosamente cercata, ora lasciata nelle pieghe della finzione” così come definito nelle note di regia di Margherita Macor (affiancata costantemente dal Tecnico Audio e Luci Maurizio Brunori). Ed è con questa pillola di saggezza attoriale, che lasciamo agli spettatori la ricerca della verità, anche su di un palcoscenico teatrale.

Maria Logroio 

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