Melania Fiore: l’Amore in guerra
L’attrice e sceneggiatrice Melania fiore, insignita della segnalazione della giuria come miglior attrice al festival Schegge d’autore 2009 e finalista per il Premio Attilio Corsini, torna a scrivere per il teatro portando in scena L’amore in guerra, uno spettacolo ideato insieme al Maestro Mario Scaccia.
La pièce in due quadri-atti racconta l’amore e la storia di Gertrud Stein (pianista ebrea e omosessuale) e di Matilde Melzner (schizofrenica ricoverata in un istituto di cura) ai tempi della Germania nazista. Due donne, due esistenze particolari e complesse che l’attrice-autrice, con l’aiuto di Stefano Patti, interpreta con coinvolgimento e indiscusso talento.
Ho letto che per creare e dare vita ai caratteri dei personaggi di Gertrud e Matilde hai dovuto dedicarti a un lungo lavoro di ricerca. Quale è stato il percorso che ti ha portato a scegliere di raccontare due vicende del genere e a concepire due figure simili?
I personaggi di Matilde e Gertrud non sono ispirati a persone veramente esistite ma a fatti criminosi che avevano carattere di consuetudini disumane che erano all’ordine del giorno sotto il regime nazista, come l’eutanasia, per quello che riguarda la vicenda di Matilde, in vigore sui malati di mente per volontà di Hitler e messa in pratica da sedicenti psichiatri.
Mi ci sono voluti due mesi di studio e documentazione. Con Scaccia avevamo pensato insieme a questo lavoro. Lo abbiamo portato in scena l’anno scorso in un’altra versione, lui ne curava la regia. Successivamente ha pensato di articolarlo in due quadri e di raccontare due storie di donne “molto particolari”, non le solite mogli che aspettano il marito che ritorna a casa la sera, che avessero vissuto la guerra e l’amore come unica fonte di salvezza dagli orrori dei nazisti. Poi, per la rappresentazione, ho avuto l’idea di usare delle tecniche straniate e stranianti, ispirata naturalmente al teatro di Brecht e quindi di creare attraverso gli elmenti di una poltrona,del telefono, del pianoforte invisibile che suona la musica che Gertrud ha come dentro come soffio vitale, un distacco dalla realtà fortissimo. Ho anche voluto mettere in luce, sempre con la storia di Gertrud, la vera ragione per cui gli ebrei sono stati perseguitati: l’economia gli enormi privilegi di cui godevano. Confrontarsi con il secondo atto e il personaggio di Matilde mi ha creato molta sofferenza. Gli sono legatissima, è stata davvero una bella lotta: ho studiato tantissimo, sono stata a visitare alcune cliniche; avendo genitori psichiatri ho visto come si comportano gli individui affetti da disturbi come la schizofrenia. Mi sono trovata a studiare il loro modo di fare, manuali di psichiatria e molti libri. E’ così che ho elaborato tutte queste questioni e che ho deciso di farlo in questi due quadri.
In che modo l’amore, protagonista assoluto dell’opera, salva le due donne?
L’amore è quello che Gertrud Stein ha per la sua musica, il sentimento che le dà la forza di rimanere il piedi e lucida fino al momento della sua deportazione. Ed è anche quello che Matilde ha per il dottore, e che in fondo il dottore ha per Matilde e che lo motiva a mettere a rischio la sua vita per riuscire a evitare il trasferimento della giovane in uno dei “centri di morte” dove i malati di mente , ritenuti individui inutili per il paese e “macchie” per la razza ariana e le idee di eugenetica, venivano uccisi o fatti morire di fame.
In questo spettacolo vengono affrontati temi e problematiche estremamente impegnativi, in gran parte ancora attuali nel dibattito odierno, quali la repressione, la questione femminile, l’omosessualità l’eutanasia, la malattia mentale. Ritieni che il tuo sia un lavoro di denuncia?
Assolutamente. Questo è primariamente un lavoro di denuncia, soprattutto perché quella dell’eutanasia è una pratica che avviene anche oggi e sulla quale è arduo esprimersi, è molto difficile decidere cosa è bene e cosa è male. Ciò che è importante è che la dignità dell’uomo non deve mai essere calpestata. Prima della legge Basaglia le persone con affette da disturbi psichici e mentali subivano le violenze peggiori. Ho voluto mettere in luce e dedicare questo spettacolo alle donne, perché le donne hanno una testa e ragionano. Cosa banale a dirsi ma che con il passare del tempo non sembra essere un’evidenza universalmente acquisita. Io, essendo un’attrice e una scrittrice, ho fatto tante cose secondo me importanti: penso che la dignità di una persona passi per quello che riesce a fare, anche in un mondo così difficile come quello del teatro. Nel mio caso, essere una donna e essere anche musicista, scrittrice, sceneggiatrice, regista, paradossalmente spesso non aiuta. Questo eclettismo tutto al femminile è spesso malvisto. Ho voluto dimostrare con queste due interpretazioni che una donna nonostante tutto ce la può fare, può realizzare le cose, può farlo veramente. Porteremo questo spettacolo in giro, in tournée, anche in giro per le carceri: è il mio sogno…
Quali pensieri e idee vorresti che lo spettatore portasse via con se dopo aver assistito allo spettacolo?
Che senz’altro ne sapesse di più su quello che è successo e su pratiche come quella dell’eutanasia attuate sotto il regime di cui non si è mai saputo molto. Le persone hanno ben chiaro cosa è stato il genocidio ma non si è avuto mai una grande diffusione di notizie riguardo a quello dei malati di mente. Cosa gravissima. Le persone sulla sedia a rotelle potevano addirittura essere buttate dalla finestra per essere eliminate. Vorrei che lo spettatore tornasse a casa avendo presente questo, e che esca più consapevole della questione che riguarda la dignità delle donne e fiducioso verso le loro potenzialità, e che le donne comincino a credere di più in se stesse e nelle loro possibilità. Mi auguro davvero che lo spettacolo riesca a trasmettere un messaggio del genere.
Alice Salvagni
Alice Salvagni, interviste, L'amore in guerra, martelive, martemagazine, Melania Fiore, teatro