The Broken Moon, regia di M. Negrão e A. Rangel
CINEMA- Al di là delle montagne dell’Himalaya occidentale vive una tribù nomade. Questo popolo si sposta da secoli di vallata in vallata, sempre alla ricerca di un luogo ospitale dove garantire la sopravvivenza delle proprie genti. Un rituale, quello dei nomadi, rimasto invariato da secoli, ma che da qualche tempo fatica a perdurare, e che sembra a tutti gli effetti destinato a scomparire.
A causa dell’avanzare del surriscaldamento globale e dei conseguenti cambiamenti morfologici in atto sul nostro pianeta, le genti di questo remoto angolo di mondo si trovano catapultate in territori a loro sconosciuti. I pascoli di altura dove un tempo il verde primeggiava sono diventate aride distese di sterpaglie e le acque cristalline che prima scorrevano attraversando tali distese, sono andate via via prosciugandosi. Tali mutamenti sono il frutto di una maledizione oppure le variazioni climatiche in corso stanno sconvolgendo inesorabilmente anche questi territori?
Nell’ambito del RIFF (Rome Independent Film Festival), nella sezione DocumentaRiff, competizione destinata ai documentari internazionali, trova spazio la pellicola di Marcos Negrão e André Rangel, perfettamente incastonata tra gli altri, con la sua tematica a forte impatto socio-ambientale. I due registi brasiliani, armati di telecamera, hanno abbandonato per qualche tempo le loro comode abitazioni in Brasile e sono partiti per avventurarsi tra quelle genti, in quei territori, per scoprire come questo popolo si sia organizzato e stia affrontando la problematica.
Il film-documentario ha primeggiato in molti festival durante tutto il 2010, vincendo come Best Environmental Film al Van Gogh Awards di Amsterdam, il Freedom Award – Best Cinematograph al Petropolis Film Festival e il Gold Spike Price al Babel Film Festival, emozionando la giuria con le sue panoramiche incantate e offrendo al pubblico occidentale una visione critica della vita nomade in un contesto ambientale difficile, per suggerire una riflessione universale e un grido di allarme su come la sopravvivenza e l’identità possano essere demolite e rimosse dall’attuale sistema di sviluppo economico.
“The Broken Moon” è un documentario costruito come un racconto narrativo. C’è il presente, chiuso in una morsa tra passato e futuro.
Il passato è Sonam, un vecchio della comunità, il presente è suo figlio. Sonam, si trova davanti alla decisione di abbandonare la comunità da parte di suo figlio. Il ragazzo infatti, stanco del continuo peregrinare alla ricerca di sostentamento, vuole andare a vivere in città. Sonam però, in preda ad una visione pessimista, coinvolge il figlio in una riflessione sulle scarse probabilità di successo che tale cambiamento gli riserverebbe, portandogli come esempi coloro che prima di lui hanno tentato la sorte. Gli sventurati predecessori infatti sono finiti tutti sui marciapiedi, chi a mendicare in cerca di qualche soldo per sopravvivere, chi a vendere verdura per pochi spiccioli, tutti comunque non hanno fatto altro che peggiorare il proprio status. Il ragazzo però, giovane e sognatore, è già padre di famiglia, e dal canto suo vede lo stanziamento nella comunità come una perdita di tempo, e sopratutto non vuole ascoltare, quanto i saggi della comunità cercano di fargli capire, e cioè che l’abbandono di quei luoghi, in cerca di denaro e lavoro sarebbe solo un rischio di cui forse è meglio evitare di pagare il prezzo.
Sonam è ben consapevole della difficile situazione dei nomadi in questa regione, senza acqua nè erba per il bestiame è difficile andare avanti. Quando il medico visita saltuariamente il villaggio trova bambini affetti da malattie alla pelle e agli occhi, causate dal sole, che a quelle altezze (siamo oltre i 4,000 metri) e senza le adeguate protezioni, può essere molto dannoso.
Il racconto giunge al suo epilogo e sullo schermo viene visualizzata una dichiarazione sconcertante: 1,3 miliardi di persone vivono nello spartiacque delle montagne dell’Himalaya. I ghiacciai da quelle parti si ritirano velocemente, più che in qualsiasi altro luogo del mondo.
Laura Fioravanti
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