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Sucker Punch, regia di Z. Snyder

Sucker-Punch-2480

Sucker-Punch-2480CINEMA- «La cosa più folle che abbia mai scritto… un Alice nel Paese delle Meraviglie con le mitragliatrici»

Zack Snyder.


Anni ’50. A Babydoll (Emily Browning) muore prematuramente la madre e, nonostante sul testamento figurino il suo nome e quello della sorellina più piccola, il padrigno (Gerard Plunkett) sceglie di appropriarsi indebitamente del lascito della donna approfittando così delle due giovani e addolorate ereditiere. Colta da un raptus Babydoll impugna una pistola e tenta di uccidere l’uomo, ma nell’esitazione l’esecuzione si tramuta in colluttazione ed il proiettile esploso dalla ragazza finisce per colpire a morte la sorellina, lasciando invece illeso il patrigno, nonché profondamente sconvolta la ragazza. Di lì a poco sopraggiunge la polizia a constatare i fatti. Non occorre molta fantasia all’uomo per mettere in cattiva luce la ventenne agli occhi degli ufficiali e a quelli della ‘giustizia’. Babydoll verrà internata in un istituto psichiatrico e, grazie ad accordi precedentemente instaurati sottobanco tra il guardiano dell’istituto ed il machiavellico patrigno, la ragazza verrà lobotomizzata nell’arco di 5 giorni, non appena si farà vivo l’addetto alla pratica.

La prima sceneggiatura originale di Snyder, portata a termine con la collaborazione di Steve Shibuya, risulta molto intricata e abbastanza complessa per quanto riguarda la convenzionale concezione d’oltreoceano, poiché la struttura narrativa si dispone su tre livelli ben distinti ai quali la realtà effettiva -quella dell’assassinio e dell’incarcerazione della protagonista- fa praticamente solo da cornice, ovvero apertura e conclusione.
Gran parte del blocco narrativo centrale appartiene quindi a due universi fittizi: quello in cui la sfera dell’istituto psichiatrico è trasposta in una casa chiusa d’alto bordo, universo nel quale le internate sono delle ballerine e all’occorrenza prostitute –realtà pensata probabilmente per alleggerire i contenuti allo spettatore e svincolarlo da una metabolizzazione che risulterebbe senz’altro più austera in termini di pesantezza- e l’universo della pura e semplice fantasia, nel quale le pazienti devono procurarsi degli elementi utili per l’evasione (5 per la precisione), costituito da mirabolanti battaglie, giganti samurai di pietra, draghi sputafuoco, soldati del reich zombie, androidi pistoleri e massime di vita spiazzanti al briefing che precede ogni missione.

Sucker Punch risulta sostanzialmente una commistione di generi e citazioni cinematografiche tenute assieme da una flebile struttura narrativa, che non è geniale, ma che in fin dei conti conferisce onestà al risultato complessivo finale. Il suo retrogusto di pop culture conferisce tuttavia una certa ‘autorialità’ al progetto, forse tanto quanto le precedenti trasposizioni cinematografiche da graphic novel del regista, fornendo in questo modo un degno successore a pellicole come 300 e Watchmen; la scelta dell’utilizzo di brani musicali celebri, re-mixati e rielaborati in maniera da adattarsi completamente al contesto delle sequenze (come in Mouline Rouge di Luhrmann), alimenta ulteriormente questa venatura pop art resa ancor più evidente ed efficace da inquadrature impossibili e da vistosi slow motion, che ammiccano allo spettatore e che tutto devono al linguaggio da videoclip, tanto caro all’autore.
Le interpreti, nonostante siano delle detenute di un ospedale psichiatrico, sono tutte in formissima, specie la protagonista: Emily Browning, che con il suo volto di cera risulta efficacemente versatile passando con estrema nonchalance dalla povera Babydoll triste e sola, schiava degli eventi e abbandonata inerme all’interno dell’istituto, all’eroina spietata e decisa che è capo di un manipolo di fantastiche soldatesse mistresses e che combatte a sferzate di katana e a letali colpi di magnum ornate da appariscenti ciondoli di Hello Kitty.
L’unica vera pecca del film è rappresentata probabilmente da una computer grafica in alcuni frangenti invadente e decisamente non necessaria (forse è più la fotografia in post produzione a stranire maggiormente lo spettatore), ma che probabilmente risulta giustificata dagli abili movimenti macchina orchestrati magistralmente dall’oramai più che rodato Snyder, nonché dalla tematica che, per quanto concerne le parti di fantasia, può permettersi pressoché tutto; in termini di fisica e non.

Luca Vecchi

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