Prima del silenzio
[TEATRO]
ROMA- È andato in scena fino allo scorso 24 ottobre al Teatro allo Scalo (piccolo spazio col coraggio di un cartellone originale) lo spettacolo Prima del silenzio, con Pierfrancesco Mazzoni e Danilo Celli ad interpretare i ruoli dei protagonisti diretti da Federico Vigorito.
Il testo appartiene nientemeno che al drammaturgo scrittore e regista partenopeo Giuseppe Patroni Griffi che in esso dramatizza tutta la potenza, negativa e positiva insieme, della parola.
Un uomo ormai maturo e un giovane si trovano per forza del caso a condividere lo stesso tetto. Il primo è un professore ex-marito ed ex-padre che ha alle spalle un fallimentare esperimento famigliare. Il ragazzo invece è un vagabondo in cerca di vita. All’inizio della prima scena il professore è un flusso di parole che si fanno realtà, racconti di un passato di gloria, esperienze, un continuum che sembra attrarre il giovane, divertirlo, perfino. Un padre e un figlio, sembrerebbero, o un maestro che amorevolmente cura il proprio discepolo, certo di aver trovato in lui un’anima in grado di comprendere, la tabula rasa per scrivere un mondo libero dai convenzionalismi. Poi è la volta della parola creatrice – l’uomo è anche poeta- di realtà possibili, come una giornata al mare remando in barca. Assieme, uomo e ragazzo assaporano il gusto ludico del linguaggio che nominando crea al pari del biblico “E luce fu”. Finchè non irrompe dall’esterno ciò che sconquassa le mura del fragile riparo costruito: la realtà. Ed è a quest’altezza della trama che pubblico e ragazzo scoprono il professore come marito pervertito per colei che fu sua moglie, padrone eccentrico per il nostalgico maggiordomo di casa e padre inconsapevole agli occhi di un figlio così devoto (e mai compreso) da aver riunito e pubblicato tutte le sue poesie.
Dietro l’incanto si scopre l’incomunicabilità che quell’incanto può sollevare come un muro tra individui. È a questo punto che appare in scena il conflitto che non è soltanto quello tra generazioni, né quello tra individui. Il conflitto è interno al linguaggio che da mezzo per comunicare può ossimoricamente farsi suo contrario, incomunicabilità, incomprensione. Fino a degradare nell’ultimo silenzio.
Così, dopo aver pressochè ascoltato e ricevuto, sarà la voce del giovane a risuonare nell’ultima scena, chiudendo definitivamente ogni possibilità all’espressione. A quale pro tanto parlare se poi ciò non salva dalla disillusione e dal fallimento? E più che comunicazione, l’eloquio del professore non sembra eccesso di egotismo? “Hai sempre parlato solo tu” è l’inequivocabile sentenza.
Il giovane appare infastidito da tanto sproloquio e rigetta l’idea di essere plasmato a colpi di frasi elegantemente inanellate. La parola gli appare menzogna, bieco tentativo di raggiro al quale solo il silenzio resta da opporre.
La prima è stata un’esperienza profondamente sentita dagli attori, il cui trasporto non ha potuto che coinvolgere lo spettatore. Al termine, mentre l’ultimo “Addio” spietato del giovane continuava ad accompagnare l’udito, il “professore” Pierfrancesco Mazzoni ha voluto esprimere tutto il suo ringraziamento commosso e l’onore provato nel recitare un’opera così importante per il nostro teatro, dimostrando che l’arte vera si fa prima di tutto con il cuore.
Francesca Paolini
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