Maurizio Giammarco meets Enrico Bracco Trio
[MUSICA]
ROMA- Chi l’ha detto che le serate del weekend capitolino siano state create per andarsi ad imbottigliare in mezzo ad un groviglio di macchine che cercano parcheggio, circumnavigando ZTL in preda a crisi di panico da multa, per poter accedere alle zone preposte allo svago (vedi San Lorenzo/ Trastevere/ Testaccio)?
E chi ha stabilito che questi sono i giorni dedicati alla musica TUNZ-TUNZ-TUNZ e che bisogna tornare a casa con le orecchie che fischiano? Roma, evolutasi in “quasi metropoli” europea, ci offre di più e si veste di nuove iniziative e locali giusti da scoprire, in particolar modo per quanto riguarda la musica dal vivo che spazia dal punk al rock, per approdare al jazz, un genere che si sta facendo apprezzare e conoscere anche e soprattutto grazie ai compositori d’eccezione dal cognome italiano.
Tra questi spiccano due nomi che si sono fatti strada nel genere dimostrando le loro indiscusse qualità, che ora hanno deciso di collaborare: Maurizio Giammarco, sassofonista dalla trentennale carriera che si è distinto per collaborazioni internazionali e italiane con grandi nomi, da Chet Baker a Lester Bowie, a Mia Martini a Mina a Francesco De Gregori, e Enrico Bracco, chitarrista eclettico, compositore innovativo riconosciuto uno dei migliori autori jazz contemporanei.
E cosa succede se un locale dall’atmosfera internazionale, a metà tra la Francia e New York, situato al ventiquattresimo binario della Stazione decide, in un piovoso sabato di novembre, di lasciare il palco a questi musicisti?
E’ quello che abbiamo scoperto il 20 novembre scorso al Convoglia, un posto dai soffitti altissimi come solo una stazione può permettersi, e cocktail studiati ad hoc, dove mangiare e bere a qualunque ora del giorno e ritrovarsi la sera per un happening jazz di alto livello, un crocevia di anime che vengono dai posti più disparati, ma che in un qualche modo diventano tutte simili nel momento dell’ascolto di un quartetto inaspettato.
Enrico Bracco suona con il suo trio, Stefano Nunzi al contrabbasso e Marco Valeri alla batteria, mentre Maurizio Giammarco con il suo sassofono sembra essere lo special guest di un concerto preparato, ma che lascia ampio margine all’improvvisazione così come vuole il jazz.
I suoni rotondi del contrabbasso sembrano bisbigliare costantemente per tenere alta l’attenzione, come un brusio ritmico che si fonde e confonde con la batteria per sostenere la melodia della chitarra e del sax, che sembra a volte essere una voce, come se al posto dello strumento vi fosse un cantante nero che proietta l’ascoltatore in una New York anni ‘40 e lo trascina con la mente in un’ambientazione nostalgica dalle luci soffuse.
In realtà le luci sono tutte molto forti, ma questo permette allo spettatore di godere anche dell’interpretazione dei musicisti, che affondano nella loro musica socchiudendo gli occhi, facendo ampi sorrisi o scambiandosi cenni di assenso come se si parlassero mentalmente o attraverso i loro strumenti.
La chitarra in alcuni momenti è così pastosa e omogenea da suonare come un pianoforte, le corde sembrano tasti pigiati con delicatezza e l’omino magro che sostiene il peso della Gibson semiacustica si trasforma in un attimo in un gigante, che la padroneggia come fosse parte di sé, come se effettivamente parlasse con la sua voce, invece di suonare.
Gli strumenti nel jazz parlano, ed è per questo che a volte sono invadenti, a volte richiamano l’attenzione in modo prepotente, ma non in questo caso, in cui il sound si mantiene intenso, ma delicato al tempo stesso, discreto, ma forte, anche grazie ad una batteria inaspettata che predilige l’uso delle bacchette a quello delle spazzole e che oltre a tenere il tempo e abbellirlo con virtuosismi, incalza rendendo movimentato anche il pezzo più soft, senza mai dare la sensazione di strafare, né di sovrastare gli altri.
L’equilibrio perfetto tra gli strumenti rimane invariato per tutto il tempo, la sintonia che si percepisce sul palco scende tra i tavoli e coinvolge gli ascoltatori che se prima erano distratti dai loro piatti o dai cocktail colorati, si arrendono alla propensione naturale dell’ascolto di questo jazz inaspettato.
I musicisti presentano delle reinterpretazioni di pezzi del passato, Gianmarco è noto per ispirarsi a Coltrane, e dei pezzi originali dai nomi che lasciano spazio all’immaginazione dell’ascoltatore, come Released, e intrattengono piacevolmente i presenti, facendo scivolare via il tempo senza che nessuno se ne renda conto.
Mikaela Dema
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