R.A.J. Trio: sperimentare sì ma con garbo
[MUSICA]
ROMA- immaginare uno spazio bianco, grezzo. Stendere un substrato di note, poi ripercorrere a ritroso quel viaggio musicale e costruire un secondo livello sonoro che interseca elementi tribali a miscele elettroniche.
E’ il percorso a bivi disegnato in musica che Michele Rabbia, Antonio Jasevoli e Marcello Allulli hanno presentato all’Auditorium Parco della Musica di Roma lo scorso 12 ottobre. R.A.J. Trio è il disco che raccoglie in digitale un incontro di tre fuoriclasse della musica nostrana. Il viaggio nei meandri dell’avanguardia e della sperimentazione sonora prende vita all’interno del Teatro Studio, raccolta anticamera, timpano capacitivo di momenti surreali. Sebbene il Trio sprigioni forme musicali nuove, al limite tra il rumorismo sfrenato e la sperimentazione assoluta, il percorso offre validi momenti di sostegno per gli ascoltatori meno avvezzi. In realtà si scopre, nota per nota, un viaggio nell’intimità della musica e dei sentimenti.
Le tensioni giungono vorticose quando il Trio svolge un tessuto fatto di elettronica e vibrazioni armoniche, ma porta alla distensione con note ben calibrate, dolci, persino melodiche. Il funambolismo di Michele Rabbia, batterista che affonda nella ricerca quasi spasmodica il suo credo musicale, dichiara apertamente il suo amore per la comunicazione visiva, oltre che sonora. La ritmica incessante, a volte costruita sui vuoti, miscela sapientemente oggetti che parlano del loro rumore: catene, tubi di plastica risuonano assieme con le movenze ipercinetiche del musicista. La chitarra di Jasevoli è l’incanto dell’arpeggio soave e lo stridio delle corde, presagio di un momento sonoro che riporta alla mente il fluire della musica e dei suoni industriali. Il Sax di Allulli si inserisce tra le partiture quasi fosse voce di basso e di tastiere, quasi fosse l’archetipo del progetto. Per chi cerca sempre qualche assonanza, il tragitto potrebbe seguire alcune orme sparse di John Zorn, oppure sentori degli intrecci cosmici di Joe Zawinul e i suoi Syndicate.
Ma è l’elettronica che irrompe spesso e che soggiace come filo conduttore del progetto. A volte suonata con isteria, a volte come sospensione dalle dissonanze e per l’occasione spunta una felpa rossa che Michele Rabbia indossa come feticcio per entrare nel mondo dei DJ e della “generazione laptop”. Quando meno te lo aspetti risuona una chitarra classica, ossigeno per far riprendere fiato ai meno allenati. Ma quanto lo strumento classico sta dentro il viaggio, è sensazione più unica che rara. Solo verso la fine, cinquanta minuti con tanti sorrisi sotto i baffi, ci si accorge che la sperimentazione intrisa con il jazz e il tribale rappresenta tante piccole luci che guidano l’ascoltatore, sono ganci di sicurezza perché non ci si perda. E ti lascia quel sapore in bocca, giusto così, per poter tornare a casa con qualche melodia nella testa e quella voglia, strana, di ascoltare almeno un altro assaggio/passaggio. E lo porto con me nella tasca, così la prossima volta sarà un nuovo viaggio.
Federico Ugolini
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