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Nel DNA dei Giovani DanzAutori Italiani

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[DANZA]

silvia-gribaudi_a-corpo-libero_1_credit_alvise-nicoletti1ROMA- Una donna di spalle illuminata da un sagomatore, un vestitino stretch colorato sopra le ginocchia, una postura un po’ gobba e buffa. Ci lascia sospesi in un spazio e in un tempo apparentemente breve in cui non si capisce dove andrà e cosa farà.

Sembra quasi il solito inizio di uno spettacolo concettuale di danza contemporanea, in cui né il titolo del lavoro, né il lavoro stesso ci fa capire le intenzioni del coreografo e dell’interprete. Quei lavori in cui c’è bisogno di valanghe di parole, altrettanto oscure, su quintali di carta da sinossi, per riuscire a farti comprendere una minima parte del tutto (o del niente). Invece niente, non c’è carta, non c’è spiegazione, non ci sono parole, ma solo un corpo in scena, illuminato e vestito. Tre miracoli in uno, sembra quasi strano che lo spettatore non si debba rovinare gli occhi per vedere cosa succede in scena, che non debba leggersi sinossi con il vocabolario alla mano e che non veda un corpo nudo.
E così che Silvia Gribaudi incomincia l’estratto del suo pezzo a Corpo Libero andato in scena al Palladium lo scorso 15 ottobre all’interno della Rassegna DNA (Danza Nazionale Autoriale) inserita nel ben più ampio e conosciuto Festival RomaEuropa.

La giovane “danzautrice”, inizia il movimento con un gesto semplice, banale, universale del genere umano femminile. Incomincia ad aggiustarsi il vestito, cerca di allungarlo e dà avvio ad un gioco gestuale con l’elastico del vestito, il suo corpo e lo spettatore. Si percepisce tutta l’inadeguatezza della donna quasi costretta a far vedere le gambe per attirare l’attenzione. Una voce fuori campo traduce l’azione in pensiero, ed è in quel momento che la Gribaudi si conquista il pubblico interamente, portandolo ad un riso sincero e spontaneo.
Il pezzo continua con giochi di luce e di movimento, ma il momento più alto lo si ottiene quando, sotto le note della Traviata della Callas, Silvia si spoglia mostrando attraverso un top e un pantaloncino, tutte le sue forme e le sue “mollezze” sottolineandole attraverso le vibrazioni del corpo. E’ spettacolare come abbia portato sulla scena, in 15 minuti, in maniera chiara e ironica la donna con le sue manie, con le sue debolezze, la sua inadeguatezza, le sue aspirazioni, come sia riuscita a dare dignità e bellezza ad un dramma, come lo chiama lei stessa, della donna contemporanea, l’accettazione del suo corpo e l’accettazione dei giudizi degli altri.

GNOSIs_1Come da formula della serata, dopo la performance si è assistito al così detto incontro performativo con l’artista e con i responsabili del GD’A.
A seguire la performance di un altro giovane “danzautore” , il siciliano Vincenzo Carta, vincitore con il suo progetto GNOSIS #1 del Bando “Focus on Art and Science in the Performing Arts” di Fabbrica Europa.
La performance, necessita questa volta di carta e parole, per l’elevata complessità tecnologica. Vincenzo, infatti, insieme al musicista – scienziato – compositore Andrew Ferrara, aka Ongakuaw, porta al Palladium una prima versione del lavoro in cui unisce il suo interesse per la trance e i fenomeni ritualistici e la volontà di lavorare con le onde cerebrali. I quattro danzatori in scena, dipinti da cyborg, ripropongono lo stesso movimento con velocità differenti e con una sempre maggiore interazione tra loro. Uno di essi, indossa un caschetto con un sistema di elettrodi che analizza l’attività neuronale, e che trasmette delle informazioni al musicista in scena con il suo computer. Il flusso digitale delle informazioni del caschetto viene trasformato, attraverso degli algoritmi precedentemente fissati, in musica.
L’esperimento è, come giustamente dice lo stesso Carta nell’incontro performativo a lui dedicato, un work in progress. La sua volontà è quella di poter codificare in musica lo stato di coscienza del danzatore, impegnato attraverso il movimento ad arrivare ad uno stato il più vicino possibile alla trance. Ma ci spiega come la sua volontà sarebbe anche quella di poter dotare del caschetto tutti i danzatori, e di poter, attraverso questi, modificare anche l’illuminazione. Sicuramente un lavoro interessantissimo, evocativo e intenso.
Si conclude così il DNA, sperando che questa volontà di guardare ai giovani autori occupi sempre un ruolo più ampio nel panorama dei grandi festival italiani.

Valeria Loprieno

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