Incanto Einaudiano
[MUSICA]
ROMA- Non sono un compositore, né tantomeno un esperto di musica. Non conosco quanti tasti bianchi/neri abbia un pianoforte, né saprei leggere uno spartito e riconoscerne segni e note. Mi lascio travolgere dalle emozioni delle note e commuovere dall’intensità di una sinfonia.
Come è accaduto martedì 27 Luglio quando, all’Auditorium Parco della Musica, per la rassegna Luglio suona bene Ludovico Einaudi ha incantato Roma con il suo Nightbook.
Un palco quasi vuoto, illuminato da fari dal fioco effetto che proiettano luci ed ombre su quel pianoforte che racconta vicissitudini, ansie, nostalgie, lacrime ed avventure notturne. Il progetto Nightbook, come lo stesso “padre” lo ha definito, è “il capitolo di una storia, la sfaccettatura di un prisma, uno sguardo possibile sulle esperienze che appartengono al lato più onirico, più interno di noi stessi”. Il pubblico della Cavea dell’Auditorium romano è pronto per un viaggio intimo, introspettivo, alla conquista di emozioni spesso talmente nascoste che parole non possono riaffiorare, ma che spesso il sibilo di una nota o il tocco di un tasto può far risorgere. Io con loro, tra le centinaia di spettatori, pronto a commuovermi dinanzi alle sinfonie di uno dei più noti musicisti italiani. Inizia così la serata: lui al pianoforte ed altri 5 musicisti ad accompagnarlo con tamburello, basso, viola, violoncello e suoni elettronici. Poche note ed è subito magia. Poi il saluto di Ludovico: “Siamo molto contenti: è la terza volta che portiamo “Nightbook” all’Auditorium e dopo oltre 80 concerti in giro per il mondo, siamo di nuovo qui“.
Il maestro intona le musiche del suo ultimo lavoro, conosciute ai più, che dal vivo ti penetrano e affiatano. La magia di una musica che mi commuove per ragioni apparentemente inspiegabili: chiudo gli occhi ed inizio il mio viaggio. Riemergono immagini, vicende, persone, dolori e sorrisi: il sottofondo incalza, il ritmo a volte accelera, altre ammorbidisce. Ogni tasto toccato diviene un leggero colpo al cuore, battente sincrono e armonioso. Cuore, pensieri corrono sulla stessa lunghezza d’onda che Einaudi impone mentre violino e tamburello lo inseguono in una corsa incessante. Le luci passano dal verde al blu, come a sottolineare quell’atmosfera di pace e benessere che la musica vuol ricreare. Me ne accorgo quando, schiudendo gli occhi, galleggio da i miei viaggi e torno uno tra tanti.
I musicisti appaiono e ritornano come in un sacro cerimoniale in cui passi ed inchini sembrano frutto di un sapiente studio scenografico e coreografico. Lui è creatore e guida, in questo percorso musicale ed individuale. Quando l’atmosfera si abbassa ed il palco diventa più buio, lui è lì, come una presenza che non vuole abbandonare e che desidera portarti al compimento di un viaggio. Ancora colori, ancora melodie, ancora strumenti: xilofono e chitarra acustica si omogeneizzano sorprendentemente con un pianoforte che detta regole e ritmo. Alla fine la musica si interrompe, mi guardo intorno e noto un pubblico immobile, desideroso, stregato. Un respiro unico dalle gallerie come se appena risvegliati da un sogno/incubo.
Il maestro saluta, presenta i musicisti e si congeda dal pubblico applaudente e doverosamente in piedi. Io riprendo la borsa e mi accingo a tornare a casa. Cerco di ragionare su cosa fosse successo: un’ora è volata via senza neanche accorgersene. Non sono un compositore, né tantomeno un esperto di musica. Non conosco quanti tasti bianchi e neri abbia un pianoforte, né saprei leggere uno spartito e riconoscerne le note. Ma sono stato travolto: emozioni pure che inutili parole non possono descrivere.
Francesco Salvatore Cagnazzo
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