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Quando il calcio e’ liberta’

evakent
[L’ILLETTERATA]

evakentIn tema di calcio, la letteratura si è fatta sentire più e più volte. Da sempre il gioco del calcio rappresenta per il genere umano (e non sempre e solo maschile) un’attrattiva senza precedenti, sia per le insite qualità aggreganti che lo contraddistinguono, sia per l’innegabile coinvolgimento emotivo e fisico che implica, ragion per cui spesso è stato argomento letterario e non solo di manuali tecnici.

Mai come in questo momento, il libro edito dalla Iacobelli Editore e scritto da C. Korr e M. Close dal titolo emblematico, Molto più di un gioco. Il calcio contro l’Apartheid poteva risultare più azzeccato (visto il periodo!).
L’Italia esclusa dal Campionato Mondiale Sudafricano (a ragione) nella prima tornata è un bruciore che, ai più, duole ancora, ma in vista della finale è doveroso prendere in mano questo romanzo verità e aprire gli occhi sulla storia recente del Sudafrica, passando oltre la linea di metà campo in direzione dell’area di rigore.

Robben Island, l’isola delle foche che galleggia al largo della Table Bay a 12 km dalla terra ferma,Molto-pi-di-un-gioco divenne una prigione ancor prima del regime dell’Apartheid.
Tra i primi ospiti fissi, i capi politici traghettati in catene dalle colonie olandesi, lontana Indonesia inclusa, intorno alla metà del ‘600. Poi l’isola si trasformò in un lebbrosario. E poi ancora, nel Novecento, divenne tristemente nota come galera per i prigionieri politici nel periodo più buio e razzista del Sudafrica. Il carcerato più famoso di Robben Island fu proprio lui, Nelson Mandela, primo Presidente nero del Sudafrica dopo la fine dell’apartheid, e Premio Nobel per la Pace nel 1993  assieme a Frederik Willem de Klerk.
Molto più di un gioco è il racconto nudo e crudo, toccante, a tratti quasi storiografico, dei detenuti politici di Robben Island, del loro amore per il pallone e di quello che questo loro amore contribuirà nella lotta per la libertà e l’affrancamento dal regime carcerario. Nel Sudafrica dell’apartheid il calcio si è trasformato in un potente strumento di resistenza e di lotta, in un’occasione di riscatto, in una scuola di unità, responsabilità e disciplina per tutte le fazioni politiche che animavano il Paese in quel degli anni ’60.
Il volume è costruito sulle testimonianze dei protagonisti e sui documenti trovati per caso sul finire degli anni ’90. Ricordiamo che il regime carcerario dell’epoca, impediva ai detenuti politici di scrivere o tenere libri, questo per evitare qualsiasi tipo di insurrezione reale o immaginaria all’interno del carcere duro, che aveva come unico fine quello di piegare le volontà ed annullare le coscienze. Sarà solo dopo innumerevoli lotte della Croce Rossa Internazionale che ai detenuti di Robben Island sarà concessa la lettura come svago e il caso metterà tra le loro mani un libretto della FIFA, la Federazione Internazionale di Calcio, che illustrava le regole del gioco, dell’arbitraggio e della stessa Federazione.
A dimostrazione che ribellarsi non significa quasi mai negare a priori disciplina e organizzazione, specie in politica, i prigionieri di Robben Island sentirono il bisogno di darsi “strutture” e “istituzioni”. Così, dopo mesi di discussioni, Manuale della Fifa alla mano (il secondo titolo più popolare della biblioteca del carcere dopo Il Capitale di Karl Marx), nel giugno del ’69 presentarono lo statuto della Makana Football Association (dal nome del grande capotribù xhosa esiliato sull’isola nel 1819 dopo aver sfidato il potere coloniale).

Nasce così, per gioco, a dispetto delle durissime condizioni delle pene e nonostante le umiliazioni ed i maltrattamenti cui erano sottoposti, quello che diventerà un vero e proprio Campionato di Calcio con gironi settimanali di serie A, B e C, competizioni di Coppa e incontri amichevoli.
Una vera Lega di calcio la Mfa, quindi. Contava nove club, tre divisioni, la Commissione disciplinare e un’Associazione di arbitri. Boicottati dalle guardie, dal regime, da direttori del penitenziario convinti che quando si vive un regime carcerario l’unico “divertimento” possono essere i lavori forzati, i detenuti di Robben Island divengono famosi per aver imparato non solo a convivere col carcere duro, ma anche a riappropriarsi della propria dignità e a proseguire, anche se in modo indiretto, la battaglia contro il sistema: proprio grazie ad un pallone e all’amore per il calcio. 
E’ così che va la Storia con la “S” maiuscola: è fatta da gente comune che sfida la via tracciata e cerca di affrancarsi, nonostante tutto e nonostante tutti. Negli anni ’60-‘70, mentre il Sudafrica del regime del Partito Nazionalista era boicottato dal mondo dello sport, a Robben Island aveva luogo il primo torneo dei detenuti, che squadernava al vento regole e sudore, sudore e regole.
Il primo campionato fu vinto, per la cronaca, dal Manong, l’unico club che reclutava i giocatori a prescindere dal partito d’appartenenza e forse fu proprio questa la lezione più importante di tutte per i coraggiosi detenuti politici dell’isola dell’epoca: capire il significato più profondo del vecchio detto “l’unione fa la forza”…

Chuck Korr- Marvin Close, Molto più di un gioco. Il calcio contro l’apartheid, Iacobelli Editore, pag. 235, € 15

Eva Kent (evakent.74@gmail.com)

C. Korr, Eva Kent, Iacobelli Editore, letteratura, M. Close, martelive, martemagazine, Molto più di un gioco. Il calcio contro l’Apartheid, Rubrica L'illetterata

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